Le leve necessarie per far correre il Mezzogiorno

di Chiara MONTEFRANCESCO
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Domenica 19 Febbraio 2017, 17:36
Il Mezzogiorno torna prepotentemente sotto i riflettori. D’altra parte era inevitabile per due ordini di motivi. Il primo riguarda il progressivo deterioramento dei fondamentali della sua economia che non mostra segnali di inversione di tendenza.
La disoccupazione generale viaggia al 20%, più o meno. Quella giovanile al 50%. Secondo il rapporto della Fondazione David Hume sulla povertà, circa il 50% degli outsider, ossia disoccupati, lavoratori a nero e precari, che costituiscono la cosiddetta terza Italia, appartengono al Mezzogiorno. In cifra assoluta, più o meno, quattro milioni e mezzo.
Dal canto loro le attività industriali continuano a languire, l’artigianato ed il commercio come il turismo sono ben lontani dal rappresentare un’alternativa strategica, mentre i consumi si aggrappano ai saldi senza slancio. Il resto è spesa pubblica e servizi, banche, giustizia, sanità, istituzioni ecc. che proprio non se la passano bene, nemmeno in prospettiva: i tagli continuano ad essere costanti ed all’ordine del giorno.
Il secondo motivo riguarda la capacità/ volontà dei Paesi forti del nord Europa e gli Stati Uniti di accogliere, senza limiti, le moltitudini di giovani meridionali che decidono di lasciare la loro terra. [FIRMA]Da questo punto di vista qualcosa è cambiato e questo cambiamento è destinato ad accentuarsi. America first, U.K. First, e poi via via gli altri. Lo si voglia o no, incombe il protezionismo sul futuro del mondo o almeno su quella parte del mondo che fino a ieri era la patria della libertà e dell’integrazione.
Immaginiamo per un momento cosa possa significare, in termini di conseguenze sul territorio meridionale, la chiusura di quella valvola di sfogo che alleggeriva la pressione di un esercito di giovani disoccupati.
Ed allora? Cosa fare? Cosa aspettarsi per il futuro? Il Governo nazionale ha ripristinato il ministero per il Mezzogiorno. I vescovi, visto che le forze politiche sembrano impegnate in tutt’altre faccende, si sono recentemente e solennemente riuniti per scuotere le coscienze e le istituzioni sottolineando che il problema numero uno da affrontare è quello della dignità del lavoro e del futuro dei giovani. Basta con la flessibilità e la precarietà del lavoro, hanno detto i vescovi. E come dare torto. Negli ultimi decenni il lavoro è stato derubricato a merce anonima da pagare il meno possibile. Per reggere la competizione globale, dice la versione ufficiale. Per sostenere la speculazione della finanza internazionale ed alimentare la forbice che separa la concentrazione della ricchezza rispetto alla sua distribuzione, pensano le persone comuni e, ad osservare bene le cose, hanno ragione. E d’altra parte il lavoro non c’è, soprattutto nel Mezzogiorno. Comunque tarda ad arrivare.
Eppure gli investimenti non mancano. La programmazione attuale dei fondi europei può contare su circa 100 miliardi di Euro. La Puglia su oltre sette.
A girare lo sguardo il Mezzogiorno è pieno di eccellenze. In particolare la Puglia può vantare presenze industriali di assoluto valore mondiale. Dall’aerospazio alla meccatronica, dalla meccanica all’automotive, dalla moda all’alimentare, dal software alle telecomunicazioni. Sono realtà dove il lavoro c’è. È di qualità e viene non solo tutelato ma anche valorizzato.
L’inghippo dov’è? Più che di inghippo si tratta di un limite. Tutte queste, spesso straordinarie, eccellenze restano eccezioni. Non riescono a innescare sul territorio un indispensabile effetto volano. Vivono la loro dimensione in una proiezione mondiale restando tuttavia delle isole che non creano arcipelaghi intorno a se. Attraggono grandi risorse pubbliche e trovano spesso in queste il motivo della loro permanenza. Ma il resto del tessuto non viene permeato. Ecco, passare dalle eccellenze/eccezioni alla valorizzazione del tessuto circostante che esiste o può nascere a valle, potrebbe essere una strada da percorrere magari sollecitando e finanziando progetti di filiera territoriale piuttosto che singoli progetti aziendali. E puntando decisamente al potenziamento del tessuto delle piccole e medie imprese innovative e non. A cominciare dalle start up. Qualche decennio fa, De Rita, fondatore del Censis, scandalizzando opinione pubblica e decisori politici intenti a disquisire di sviluppo tecnologico mondiale e di arretratezza nazionale, affermò che l’Italia doveva riscoprire e rilanciare i mestieri di base a cominciare da quello dei pizzaioli. Non si poteva vivere solo di tecnologia.
Ecco, ancora una volta bisognerebbe ricordarsi che lo sviluppo di un territorio o è equilibrato o non è sviluppo. Certo uno sviluppo equilibrato passa anche attraverso l’artigianato, i servizi, i trasporti, la logistica, le infrastrutture. Si tratta di campi fondamentali dove il consolidamento di un tessuto di piccole imprese può fare la differenza. E la può fare in una duplice direzione: la propria crescita e quella del sistema produttivo complessivo che ne può trarre importanti benefici. Ma bisogna far presto. Rivitalizzando l’economia, ridando dignità al lavoro, passo fondamentale per restituire equilibrio ai meccanismi di efficace redistribuzione della ricchezza. E Rilanciando il sistema dei porti, completando la rete ferroviaria e dando attuazione urgente al progetto della logistica integrata messo in cantiere a livello nazionale e regionale e meridionale.
Bisogna far presto anche perché lo scenario internazionale mostra segni inequivocabili di chiusura protezionistica, nella consapevolezza che i mercati e gli equilibri, così come li abbiamo conosciuti sin qui, sono destinati a mutare. E non è detto che ciò avvenga per forza in chiave negativa. Le scelte d’oltre oceano potrebbero finalmente spingere l’Europa a spostare il proprio baricentro a Sud in direzione del Mediterraneo, dell’Africa e del medio Oriente. Oltre un miliardo di persone popolano questa parte del globo. E una politica di integrazione potrebbe diventare necessaria nel prossimo futuro. Necessaria e vincente. Ed il Mezzogiorno finalmente potrebbe trovare la sua giusta collocazione. A condizione che sia pronto e ben attrezzato.


 
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