L'ingiustizia di ex terroristi in cattedra sulla giustizia

di Rosario TORNESELLO
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Giovedì 4 Febbraio 2016, 09:26
Domanda: è giusto che ex terroristi coinvolti fino al collo in episodi terribili (Moro su tutti), poi dissociati ma mai pentiti, vadano a far lezione ai magistrati sulla giustizia riparativa, ancorché lo facciano assieme ad una delle figlie dello statista ucciso? Credo di no. Per quanto possa sbagliarmi, credo proprio di no. Ad ogni modo: Adriana Faranda e Franco Bonisoli sono stati invitati a partecipare ad un corso di formazione sull'argomento che si sarebbe dovuto tenere ieri a Scandicci, nella sede della Scuola della magistratura. Con loro anche alcuni parenti delle vittime degli anni di piombo: Agnese Moro, Sabina Rossa e Manlio Milan. Polemiche, ovvio. Soprattutto fra le stesse toghe. Poi, improvviso, il dietrofront: tutto annullato. Tranne il caso.

Il tema non si discute, il luogo prescelto sì. Molto. La giustizia riparativa è evoluzione illuminata del sistema penale e penitenziario: non più vendicativo rispetto ai reati e alle offese, non solo retributivo in relazione ai danni, oltre le stesse finalità rieducative cui pure rimanda la Costituzione (fin qui quasi sempre ignorata, anche se le eccezioni - a spallate - cominciano a farsi strada verso una forma di regola). È un progetto che mette assieme il responsabile e la parte offesa; un percorso difficile, quasi sovrumano quando chiede a vittima e carnefice di risalire il dramma in senso opposto per cercare di porvi rimedio, dentro e fuori di sé. Quanti ne sarebbero capaci? Agnese Moro lo ha fatto; la Faranda anche. E con loro altri. Ne è nato un volume interessante alla fine di un lavoro di gruppo lungo e doloroso: "Il libro dell'incontro. Vittime e responsabili della lotta armata a confronto" (edizioni Il Saggiatore).

Ecco, il punto è proprio questo: le vittime. Le famiglie travolte dai lutti sono le prime, senza dubbio. Non si discute. Già solo questo basterebbe per mettere in dubbio la bontà di quell'incontro, programmato dalla precedente gestione della Scuola e alla fine annullato: non tutte le vittime si sono mosse lungo quel percorso di "riparazione", non tutte intendono farlo. Ad esempio, giudici figli di giudici assassinati. Brutalmente, follemente, vigliaccamente assassinati. Scelta rispettabile, la loro: bisognerebbe vivere gli stessi dolori, precipitare negli stessi abissi, per poter giudicare (e se non proprio giudicare, almeno capire) stati d'animo e sentimenti, e perciò l'indignazione per la sorpresa di vedere gli ex brigatisti - dissociati ma non pentiti - invitati alla scuola che è stata la loro scuola e la scuola dei propri genitori, la stessa in cui si giura sulla Costituzione di osservare la legge e solo la legge.

Ma c'è dell'altro. Tutte queste storie individuali - ognuna per sé evocativa della "notte della Repubblica" - hanno un tratto particolare che le pone al di là della sfera personale e familiare, all’interno di una Storia più ampia e complessa: sono state, ciascuna e a maggior ragione tutte assieme, un attacco frontale al cuore dello Stato, alla coscienza civile di una nazione, all'assetto democratico. Molti fatti sono ancora da chiarire, alcuni sono addirittura impuniti, su altri luci e ombre si accavallano, se sia ammesso dirlo senza finire tra complottisti, retroscenisti, dietrologisti e tutto il repertorio dei neologismi. Insomma: la ferita è ancora aperta. E pochi, tra brigatisti e terroristi, sono andati al di là della dissociazione dall'ideologia armata di quel periodo, incendiaria e insanguinata, per aiutare la comprensione e, con essa, la distensione. Il primo compito della giustizia è che le cose si sappiano, che i fatti abbiano nomi e volti e una spiegazione chiara, plausibile, esaustiva. E cioè il chi, il come e il perché molte volte invece negato o anche solo taciuto nella storia nera e rossa del terrore. Se così stanno le cose (e così pare che stiano) era proprio necessaria la "provocazione" o la "leggerezza" di un'iniziativa del genere, meritoria, opportuna e sacrosanta dappertutto, perfino nelle aule scolastiche, ma oltraggiosa della memoria dei morti e del dolore dei vivi nella Scuola della giustizia?

Ho avuto la possibilità di dialogare, per incontri in pubblico e spesso tra i ragazzi, con alcuni dei "sopravvissuti" a quegli anni sciagurati, figli degli uomini e delle donne colpiti a morte: Agnese Moro, Benedetta Tobagi, Alfredo Bazoli, Alessandra Galli, Umberto Ambrosoli. In tutti loro sempre l'identica voglia di capire, la stessa tenerezza dei ricordi, lo sguardo fiero delle carezze ricevute, degli insegnamenti ereditati. E sempre quell'inciampo all'improvviso di un tuffo al cuore: la voce che di colpo svanisce, le lacrime che affiorano, a volte - solo a volte - trattenute a fatica. E, rapido, un lampo negli occhi a inseguire quello che poteva essere e non è stato. Appeso ad un interrogativo, che pure mai svanirà: perché?
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