Riforme e governabilità: le sfide poste all'Italia dal voto francese

Riforme e governabilità: le sfide poste all'Italia dal voto francese
di Fabio CALENDA
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Martedì 9 Maggio 2017, 18:15 - Ultimo aggiornamento: 18:19
La vittoria netta di Emmanuel Macron al ballottaggio (66% contro 34% dei votanti) presenta una rilevanza che trascende le vicende politiche di Oltralpe. Il risultato conferma con una precisione direi quasi scientifica - a proposito di Francia, mi viene in mente l’esprit de géométrie così come definito da Pascal - i nuovi termini del confronto politico in Occidente. Non più tra destra e sinistra tradizionali, visto che già l’esito del primo turno aveva dimostrato la loro inadeguatezza a collegarsi alle esigenze, orientamenti e speranze della maggioranza degli elettori.

I vecchi schemi sono saltati. Parlare di un successo delle élites neoliberiste sulla destra reazionaria e xenofoba è una tentazione di alcuni strati della sinistra, dal sapore tanto recriminatorio quanto fuorviante; così come lamentare, sul versante opposto, il prevalere dell’Europa cattiva - quella della burocrazia e della finanza, per intenderci - sulla sovranità della Nazione e sui bisogni più genuini del popolo. Il popolo. Così veniamo al dunque. Cosa è avvenuto in Francia? Il riformismo illuminato ha battuto il nazionalismo populista? Restando sul terreno scivoloso delle definizioni, mi pare più pregnante quella offerta dal professor Ricolfi nel suo interessante saggio - Sinistra e popolo - in cui contrappone le “forze dell’apertura” alle “forze della chiusura”, laddove queste ultime evidenziano le molteplici istanze del populismo, tra cui alcune meritevoli della massima considerazione da parte di un governo progressista. Non a caso, Marine Le Pen ha conseguito l’affermazione più consistente nei dipartimenti più impoveriti, dove disoccupazione, precariato, insicurezza mordono con più intensità.

Il nuovo presidente ha mostrato di essere consapevole delle ragioni della Francia arrabbiata o delusa, che si è espressa non solo tramite il significativo consenso ottenuto dalla sua avversaria, ma anche attraverso l’alto numero di astensioni e schede bianche o nulle, pari a circa il 35% degli aventi diritto. Nel suo discorso di investitura ha dato ampio spazio ai temi dello sviluppo del lavoro, della giustizia sociale e della sicurezza. Occorre attendere l’esito delle elezioni legislative di giugno dell’Assemblea Nazionale per vedere fino a che punto la sua operazione fiducia abbia conquistato la pancia della nazione. Le premesse inducono all’ottimismo. L’uomo possiede determinazione, competenza, capacità di ascolto. Inoltre, appare in grado di suscitare entusiasmo perfino nei giovani, caso insolito in un personaggio dalla spiccata connotazione tecnocratica. In poco più di un anno, il movimento “En marche” da lui fondato ha coagulato una vasta adesione anche “dal basso” intorno a una prospettiva europeista e riformatrice, volta a dare slancio a un sistema paese, frenato da diffuse rigidità. Vedremo.

Il successo di Macron gonfia le vele all’europeismo e al rilancio delle politiche di riforme nei partner dell’Unione. Cosa dobbiamo attenderci? Quali indicazioni per noi? Si rafforzerà l’asse Parigi e Berlino su un’agenda più ricca, in cui dovrebbero trovare spazi - o spiragli? - sia politiche di bilancio e di difesa comuni, sia la spinosa questione dell’Europa a due velocità. Con ogni probabilità si attenuerà l’indirizzo sul rigore in favore degli investimenti. Un’opportunità per noi, purché le risorse disponibili vengano indirizzate al sostegno della crescita e dell’occupazione e non disperse in mille rivoli, peraltro privi di sbocchi significativi in termini di incrementi di consenso politico e dei consumi interni. Per inciso, riguardo al Mezzogiorno ma non solo, è necessario anche migliorare la capacità di spesa dei fondi europei ancora insufficientemente utilizzati. Progressi nei confronti dell’Unione ne abbiamo compiuti, soprattutto negli ultimi anni. Ne realizzeremo ancora, quanto più perseguiremo i nostri obiettivi, spogliandoli da residui di atteggiamenti contestatari che, oltre a risultare pregiudizievoli per la nostra autorevolezza, sono del tutto inefficaci a incrinare il fronte interno degli euroscettici. In buona sostanza, la forza della nostra voce in Europa dipenderà dai risultati che conseguiremo in casa nostra.

Riforme, dunque. Sotto il profilo della loro fattibilità, mi preme soltanto di richiamare analogie e differenze con in nostri cugini transalpini. I principali punti di forza della Francia rispetto a noi risiedono nell’orgoglio nazionale, in un sistema istituzionale favorevole alla governabilità, in un apparato amministrativo che, pur nel suo burocratismo, è più funzionante e idoneo a dare seguito alle decisioni politiche. Un ulteriore vantaggio è costituito dal radicamento del populismo nell’estrema destra del Front Nationale, mentre in Italia presenta un seguito più ampio e trasversale. Il nostro Paese manifesta una più ampia flessibilità e - ne sono convinto - una più spiccata disponibilità al cambiamento a livello individuale e sociale. Nonostante la sua connotazione “decisionista”, la politica francese è rimasta a lungo bloccata da irriducibili contrapposizioni; da noi, come è arcinoto, lo stallo è stata la regola; le spinte al cambiamento esposte all’intensità, spesso devastante, del fuoco amico. Per sintetizzare, anche al costo di banalizzare, il sistema di Oltralpe è improntato alla compattezza, il nostro alla frammentarietà.

Ne consegue che quando i francesi decidono di mettersi “en marche”, procedono a ranghi più o meno serrati; agli italiani tocca avanzare in salita in ordine sparso, con la testa troppo spesso rivolta all’indietro per guardarsi le spalle. Fuor di metafora, il recupero della compattezza è per noi la priorità scaturita dalle elezioni francesi: tra governo e forze che lo sostengono per rafforzare l’economia; tra l’intero arco parlamentare per una riforma elettorale atta a creare condizioni di stabilità per la prossima legislatura. Scorciatoie non esistono. Il tempo di giochetti, tatticismi, scaricabarile è esaurito.
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