Il divario tra giustizia attesa e giustizia applicata

di Fabio DI BELLO*
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Mercoledì 8 Febbraio 2017, 17:48
Nei giorni scorsi si è celebrata presso la Suprema Corte di Cassazione e nei distretti di Corte d’appello la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario che, secondo un rituale dal profumo ottocentesco con solenne passerella di toghe ed ermellini, tanto nella forma quanto nella sostanza, continua ad offrire una visione “deformata” della giustizia che relega l’avvocatura in una posizione gregaria.
Nella sua relazione il primo presidente della Cassazione, Giovanni Canzio, ha posto l’accento su alcuni importanti temi che incidono in maniera negativa sul processo penale, sui quali è doveroso riflettere. Il presidente Canzio, infatti, tra le altre cose, ha stigmatizzato il fenomeno, ormai dilagante nel nostro Paese, della spettacolarizzazione della giustizia - a suo dire, favorita soprattutto da una spiccata autoreferenzialità di alcuni pubblici ministeri -, che sta finendo per creare un vero e proprio corto circuito tra l’informazione ed il processo penale tale da ribaltare il principio di presunzione di innocenza e trasformare l’indagato in colpevole.
Da diversi anni, ormai, abbandonato il sacrosanto diritto all’informazione, assistiamo al triste “spettacolo” della divulgazione di immagini ritraenti cittadini nel momento dell’arresto dati in pasto all’opinione pubblica come trofei da esporre. Assistiamo a processi celebrati nei salotti televisivi tra plastici riproducenti il luogo dell’avvenuto delitto e tesi strampalate azzardate da commentatori improvvisati che si avventurano ad emettere “sentenze di condanna” senza conoscere neanche uno straccio di documento processuale, come se stessero partecipando ad un gioco di società.
In nome dell’audience piuttosto che delle statistiche o della notorietà personale, si è dimenticato così che il processo penale è ben altro; è il rito più alto di una società civile nel quale si giudica un uomo con i propri sentimenti, con i propri affetti e con la propria dignità. Ed è in questo scenario distorto che prende corpo il contrasto tra la giustizia attesa e quella applicata, come la definisce Canzio, nel quale la prima è e deve essere la verità che deve trionfare sulla seconda. Quante, troppe volte, si è assistito a scene di protesta, se non di vero e proprio delirio, dinanzi a sentenze che si discostano dai “desiderata” dell’opinione pubblica, dalla volontà della piazza, dalla “decisione” assunta nei vari talk show. E quante volte tutto questo è avvenuto anche nell’assordante silenzio di chi avrebbe dovuto difendere la giurisdizione.
Il problema, però, è ancora più profondo e va ben oltre la semplice diffusione di documenti coperti da segreto istruttorio, di stralci di intercettazioni piuttosto che di conferenze stampa al momento dell’arresto che assumono le vesti di sentenze senza appello. Il vero problema è che questo clima quasi febbrile di attenzione mediatica, che si innesca dinanzi ad accadimenti di cronaca “particolari”, finisce con l’influenzare il processo vero e proprio, il processo che si svolge nelle aule di giustizia.
Finisce per influenzare le indagini, le parti, i testimoni, il giudice; finisce per condizionare il principio di presunzione di innocenza che viene quasi del tutto annichilito. Un principio, baluardo del nostro sistema penale, che sembra appartenere ormai a pochi illusi sognatori del diritto se financo il rappresentante del sindacato dei magistrati, Davigo, come riportato da varie testate giornalistiche, sostiene che se una persona viene assolta, non è innocente, è un potenziale colpevole.
La relazione del presidente Canzio ha puntato i riflettori anche su un altro tema importante, sul quale spesso si evita di interrogarsi e che viene frettolosamente liquidato, la durata eccessiva delle indagini preliminari e, soprattutto, la necessità di “aprire delle finestre di controllo giurisdizionale” sulle stesse. Qualcuno ha tentato di aggirare l’ostacolo affermando che di fatto esiste il controllo del giudice nella fase delle indagini stanti i meccanismi di proroga, ignorando o facendo finta di ignorare, quel che anche uno studente in giurisprudenza alle prime armi e che non si è mai affacciato nelle aule di giustizia conosce bene, e cioè, che questo controllo è del tutto vuoto se non inesistente. Anche qui la questione è altra ed è rappresentata dal problema della tempestività delle iscrizioni nel registro delle notizie di reato, che attualmente sono prive di un effettivo controllo, e dei meccanismi che di fatto finiscono per vanificare l’obbligo di immediata iscrizione del nominativo dell’indagato nell’apposito registro, portando i tempi delle indagini ad una eccessiva quanto irragionevole dilatazione.
L’attuale durata delle indagini potrebbe trovare effettiva applicazione solo qualora il giudice per le indagini preliminari avesse la possibilità di retrodatare l’iscrizione non tempestiva, con la conseguente inutilizzabilità degli atti compiuti oltre il termine massimo previsto dalla legge.
Un effettivo controllo giurisdizionale sulle indagini preliminari, fase nella quale statisticamente spirano la maggior parte dei reati per il decorso del tempo utile a perseguirli, segnerebbe un concreto passo in avanti sulla tanto sbandierata “problematica” della prescrizione. Interrompere il decorso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado come prevede il progetto di riforma della giustizia penale, infatti, non solo determinerebbe un allungamento all’infinito del processo ma soprattutto non avrebbe alcun senso logico laddove si consideri che ben il 70% delle prescrizioni matura proprio nella fase delle indagini, quindi ben prima che il processo approdi al dibattimento.
In quest’ottica diventa necessario riflettere anche sul principio di obbligatorietà dell’azione penale che, per come è oggi concepito, di fatto, affida alle Procure scelte di politica criminale, selezionando quali fascicoli portare avanti e quali fare morire, che in un Paese democratico spettano solo al parlamento.
Ed allora, alla luce di queste brevi riflessioni, una riforma è auspicabile ma una riforma che sia tale, che sia cioè completa e strutturale e che non finisca per sacrificare, in nome di un presunto e falso efficentismo del sistema giustizia, le garanzie ed i principi fondamentali della nostra costituzione.

* Presidente Camera Penale Brindisi
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