Guarire il paese dai malanni interni per contare di più in Europa

Emmanuel Macron dopo la vittoria al primo turno delle presidenziali francesci
Emmanuel Macron dopo la vittoria al primo turno delle presidenziali francesci
di Adelmo GAETANI
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Mercoledì 26 Aprile 2017, 13:53
L’ultraeuropeismo di Emmanuel Macron e l’antieuropeismo di Marine Le Pen si sfideranno tra due settimane nel ballottaggio delle elezioni presidenziali in Francia. La convergenza, già dichiarata, delle forze politiche di destra e di sinistra sul candidato centrista dovrebbe sbarrare il passo all’offensiva populista. La strada che porta all’Eliseo, salvo clamorose sorprese davvero non prevedibili, sembra ormai spianata per Macron.

L’Europa può respirare, la grande paura di un collasso generale, cresciuta dopo la Brexit, può rientrare. Ma restano intatti i problemi di un’Unione incapace di coltivare e perseguire una visione comunitaria, senza riguardi per la superpotenza tedesca, al di là delle dichiarazioni di principio pur pregevoli, come quella sottoscritta a Roma il 25 marzo scorso. Dopo la Francia, toccherà alla Germania fare i conti in autunno con le indicazioni del voto popolare, ma in questo caso le stanze di Bruxelles non hanno motivo per tremare.La sfida è tra il cancelliere uscente e leader centrista Angela Merkel e il socialista Martin Schulz, due europeisti convinti: la partita si gioca su alcune scelte di politica interna, mentre è estranea alla contesa la prospettiva europeista, comunque assicurata.

Con la Merkel, in corsa per la riconferma, o con Schulz si confronterà l’ultraeuropeista Macron, sempre che riesca a neutralizzare il tentativo di riscossa di Marine Le Pen. È un confronto bilaterale che potrebbe avere due prospettive divergenti: il rafforzamento del tradizionale asse franco-tedesco, con buona pace per gli altri Paesi dell’Unione e per l’Italia in particolare; o la costruzione di una Europa nuova, solidale, condivisa, libera dalla prevalenza degli interessi di singoli Stati sull’interesse generale. Solo in questo secondo caso Macron dimostrerebbe la sincerità della sua esibita carica europeista, che altrimenti andrebbe letta come una mera carta da usare per il rafforzamento della posizione nazionale all’interno del vecchio e abusato bilateralismo egemonico, comunque in salsa tedesca, che Parigi ha sempre cercato di costruire con Berlino.

Naturalmente, l’Italia non può e non potrà avere una posizione di osservatore distratto o, addirittura, assente rispetto ai cambiamenti degli assetti politici in Francia e Germania. Troppo importante è stato il ruolo di Roma nella costruzione dell’edificio europeo, così come importante è il ruolo strategico che ancora oggi si trova a giocare, sul fronte del fenomeno migratorio o della stabilizzazione del teatro libico, per potersi rassegnare a compiti di retroguardia o di semplice supplenza. Eppure, l’incidenza italiana sulle scelte politiche ed economiche comunitarie appare particolarmente debole, non solo e non sempre per responsabilità altrui.

L’instabilità politica, l’enorme peso del debito pubblico (per fortuna protetto negli ultimi tre anni dagli acquisti della Bce), la bassa crescita economica mai superiore all’1% (circa la metà della media europea), l’alto tasso di disoccupazione (con quella giovanile che supera il 40%), l’irrisolta questione del Mezzogiorno (che da volano dello sviluppo generale, quale dovrebbe essere, è ancora un peso per il sistema-Paese), la stessa incapacità di utilizzare al meglio le risorse europee per la coesione territoriale (spesso non si riesce neanche ad utilizzarle, come hanno attestato recenti dati) fanno dell’Italia non solo un caso eternamente sotto la lente d’ingrandimento degli organismi internazionali e delle agenzie di rating, ma anche una situazione più favorevole alle incursioni di populismi variamente mascherati che certamente segnalano una rivolta contro l’establishment e l’attuale politica, ma mettono anche in mostra atteggiamenti e programmi non sempre rispettosi delle più elementari regole democratiche.

La Francia ha dimostrato che una proposta politica non ideologica, ancorata sull’idea-forza di un autentico rinascimento europeo e forte di una spinta alla partecipazione attiva (non a caso il partito di Macron si chiama “In Marcia”) può essere il migliore antidoto contro la deriva populista che si alimenta della paura e/o della protesta fine a se stessa. È un argine che regge purché si intercettino e poi si recidano le radici dalle quali traggono alimento i movimenti di contestazione al sistema.

Queste radici, nel caso italiano, sono la crisi dei ceti medi, le crescenti povertà, la disoccupazione, l’emarginazione del Mezzogiorno, la caotica gestione dell’immigrazione, la mancanza di sicurezza, l’autoreferenzialità della politica, la perduta autorevolezza della classe di governo, la cattiva amministrazione, la corruzione: tutti mali, generatori di malessere diffuso, che fanno vivere il nostro Paese in una grave condizione patologica.

Il percorso di guarigione non è facile, sarà possibile solo se l’Italia tornerà a giocare un ruolo importante in un’Europa in marcia verso il cambiamento e se, intanto, saprà mettere ordine al suo interno puntando sulla convergenza delle forze non populiste, ma attente ai bisogni e alle sensibilità del popolo, su un programma di autentico rinnovamento della politica e del Paese.
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