Una “nuova” Europa per sfondare il muro di gomma dell’antipolitica

Una “nuova” Europa per sfondare il muro di gomma dell’antipolitica
di Mauro CALISE
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Lunedì 27 Marzo 2017, 13:55
È presto per capire se la svolta annunciata a Roma andrà al di là delle buone intenzioni. Ma l’impressione è che finalmente, nelle stanze delle cancellerie europee, si stia muovendo qualcosa. E stia crescendo la consapevolezza che la partita contro il populismo si può vincere, ma solo se si riacquista il bandolo di una forte identità politica. Rilanciando l’immagine – ed il messaggio – di un’Europa che continua a tenere salde le redini finanziarie, ma avendo altrettanto chiaro l’obiettivo verso cui vuole condurci tutti. Perché il nocciolo della crisi è qui. Le vele del populismo si gonfiano soprattutto per la sensazione – sempre più diffusa - che chi siede ai vertici abbia perso la bussola, non abbia più il controllo di un processo di sviluppo che si è, da troppi anni, imballato. Col welfare in difficoltà, il lavoro che diventa un miraggio, l’immigrazione che preme alle frontiere, le elite del vecchio establishment possono recuperare credibilità solo se ritrovano una chiara - e condivisa – direzione di marcia. Altrimenti, l’onda d’urto di Le Pen, di Grillo, di Podemos finirà – prima o poi – con sfondare.

Certo, ci si può consolare con quello che sta accadendo a Roma o – su scala ben più ampia – a Washington. I primi passi dei grillini in Campidoglio sono stati, semplicemente, disastrosi. Per il momento, tuttavia, non hanno scalfito la base di consenso nazionale dei Cinquestelle. Che anzi, complici le traversie del Pd, sembra stia perfino aumentando. Per via di due fenomeni che sono alla base dello zoccolo duro del successo dei populisti in Occidente. Il primo è che l’elettorato cinquestelle – come in gran parte quello di Trump – è prevalentemente fuori dai circuiti consueti dell’opinione pubblica. Legge poco i giornali, non segue i notiziari tv, discute poco di politica. Si tratta – come molte analisi hanno mostrato – soprattutto di un elettorato di pancia. Ciò non significa che non ci sia un segmento più informato e più attivo sui media. Ma prediligono i social, e sfuggono – come ha ricordato Galli della Loggia sul Corriere – al ragionamento dialettico, al confronto con le posizioni altrui, che sono stati e restano il pane quotidiano della politica tradizionale. Un atteggiamento che si ritrova nella comunicazione di Trump, che notifica con un tweet i contenuti di leggi destinate a stravolgere l’economia del paese.

Il secondo fattore di forza inossidabile dei populisti sta nella sfiducia profonda verso i partiti – di destra come di sinistra – che li hanno governati fino ad oggi. A parte la bandiera ideologica antiimmigrati – che non si traduce in nuove indicazioni di governo – l’elettorato populista non ha un particolare collante culturale, e tanto meno un proprio progetto da contrapporre agli avversari. Si nutre quasi esclusivamente di rifiuti, un no tanto superficiale quanto pregiudiziale al quadro istituzionale esitente. Come si fa a scalfire questo blocco? Come si può riuscire a penetrare nel muro di gomma dell’antipolitica?

Ci sono due strade principali, molto diverse per strategie e protagonisti. La prima è quella di presentarsi con una veste – e, possibilmente, una sostanza – completamente rinnovate. Se il principale bersaglio dei populisti sono le vecchie elite, coi loro privilegi e immobilismo, una risposta consiste nel cercare di rottamarle dall’interno, prendendo in contropiede gli assalitori del Palazzo. È la strada tentata da Renzi. All’inizio con grande successo. Ma poi sfinita nelle resistenze interne, delle vecchie oligarchie che hanno tessuto la rete in cui si è impigliato il suo slancio. È lo stesso percorso che Macron sta cercando di costruire in Francia, facendo – si spera – tesoro degli errori dell’apripista italiano.

La seconda strada è aspettare. Attendere che i populisti si facciano male con le proprie mani. E’ quello che in molti sperano possa succedere in America. Dove il primo clamoroso flop di Trump ha fatto intendere che si può anche vincere – per il rotto della cuffia – la Casa Bianca, ma poi il mestiere del governo richiede una capacità di mediazione e di costruzione di alleanze che sono agli antipodi dei proclami – e dei tweet – unilaterali.

I vertici dell’Unione europea si trovano, oggi, a questo bivio. Se prendere, con coraggio, le redini di una svolta palpabile e visibile, che apra la porta a istituzioni più forti e a leader che le sappiano guidare. O se continuare a rinviare scelte troppo impegnative, mettendo in conto – senza ovviamente dirlo – che anche in qualche paese europeo i populisti vadano al governo. Ma che proprio questo loro successo metta in mostra le loro incapacità, trasformandosi in una vittoria di Pirro. Un ragionamento a tavolino, che non mette in conto gli effetti che i disastri di una pessima gestione – anche se transitoria - avrebbero sulla popolazione. Purtroppo, non sarebbe, però, la prima volta che – a Bruxelles – i calcoli a tavolino prevalgano sulla pelle dei cittadini.
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