Emiliano nelle vesti di nuovo rottamatore

Michele Emiliano
Michele Emiliano
di Mauro CALISE
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Mercoledì 22 Febbraio 2017, 18:30
La scelta di Emiliano di restare nel Pd e sfidare Renzi muta radicalmente il quadro - e gli orizzonti - della miniscissione. Innanzitutto, la ridimensiona. Sul fronte istituzionale, perché invece di due governatori se ne andrà via uno solo. Inoltre, Rossi è circondato da consiglieri regionali renziani. Mentre Emiliano ha un controllo diretto, personalissimo, del suo territorio. Un territorio che ha un peso strategico in un Sud che, al referendum, ha voltato le spalle al Pd. In sintesi, Rossi non porta via la Toscana, ma Emiliano si sarebbe portato dietro buona parte della Puglia.

Ma il ridimensionamento riguarda anche il profilo politico, che diventa molto più angusto, si riduce a una parte – significativa ma non particolarmente ampia – della vecchia guardia della ex-ditta. Emiliano rappresenta un altro mondo, e guarda in tutt’altra direzione rispetto ai bersaniani in uscita. Non appartiene a quel retaggio ideologico, e tanto meno a quella subcultura organizzativa che Rossi e Speranza vogliono continuare a presidiare. Il governatore pugliese – nello stile, nel retroterra professionale, nell’appeal – è molto più vicino a una versione modernizzata di Di Pietro, con un occhio – forse tutti e due – rivolto all’elettorato grillino.

È questo il secondo cambiamento, e forse il più significativo nella svolta alla Direzione di ieri. Emiliano si colloca sul fronte oggi più scoperto del Pd, il fronte del populismo di sinistra. Non ne ha mai fatto mistero, attirandosi spesso gli strali dei ministri del suo partito, costretti a barcamenarsi con le compatibilità e rigidità del governo. Questo posizionamento un po’ eretico può essere, in questa fase, prezioso allo sforzo che il Pd deve fare per cercare di riconquistare quei segmenti della popolazione – giovani, disoccupati, meridionali – nei quali, da diversi anni, continua a registrare una crescente disaffezione e ostilità. Si tratta, in parte, dello stesso elettorato che i bersaniani vorrebbero intercettare. Ma, con il loro armamentario comunicativo compassato, è difficile che ci riescano. Emiliano - con la sua oratoria diretta, appassionata, a volte sgrammaticata - ha molte più chance di sfondare.

Col che veniamo al terzo elemento di novità, e potenzialità. Emiliano, per Matteo Renzi, è uno sfidante vero. Difficilmente riuscirà a superarlo alla conta finale dei voti, soprattutto nella prima fase congressuale così ravvicinata e già, in buona parte, pre-istruita dalla cabina di regia dei renziani. Ma quando si andrà in campo aperto, nella battaglia delle primarie, è probabile che lo sfidante darà al segretario uscente molto filo da torcere. Emiliano, infatti, attingerà al medesimo dispositivo che fece, cinque anni fa, la fortuna di Renzi: la voglia – e la possibilità – di rimescolare le carte. Sarà lui, stavolta, a presentarsi nelle vesti di neo-rottamatore. E potrà farlo forte della medesima iperattenzione mediatica che tanto favorì l’ascesa dell’ex-sindaco di Firenze.

Infine – ed è il dato strategico su cui riflettere con più attenzione – lo story-telling della scissione del Pd, da oggi, non è più rivolto al passato. Ma torna a guardare avanti. Invece del ritorno delle antiche oligarchie e dei bilancini del proporzionale, il canovaccio che si delinea per la competizione tra Renzi ed Emiliano è tra due forti personalità. Due politici che rivendicano senza se e senza ma – anche per il ruolo istituzionale che hanno svolto e che svolgono - la piena responsabilità individuale della propria leadership. Forse, questo non basterà a ricucire – almeno nel breve periodo – una ferita che, per il Pd, sarebbe stato meglio evitare. Ma – in extremis e con una svolta a sorpresa – si è riusciti a evitare che il Pd si infilasse sul sentiero che porta all’ennesimo partito personale.

Certo, Renzi correrà qualche rischio e, molto probabilmente, dovrà cedere una fetta consistente di potere. Ma salverà la dialettica interna, e un pluralismo senza il quale nessuna grande forza politica può illudersi di durare a lungo. E, soprattutto, salvaguarderà il contributo più importante del renzismo. L’idea che, per sperare di competere contro l’onda montante dell’antipolitica, ci vogliono leader determinati ad affrontare il mare aperto. Meglio ancora, se non da soli.

 
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