Il Dams come collante dei contenitori culturali

L'interno del Teatro Apollo di Lecce
L'interno del Teatro Apollo di Lecce
di Andrea SCARDICCHIO
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Mercoledì 22 Febbraio 2017, 18:26
La tappa leccese del regista Gabriele Vacis, direttore dei teatri di Reggio Emilia, si è rivelata un’occasione di riflessione, oltre il valore della semplice testimonianza. Ne ha parlato diffusamente Quotidiano e, com’era inevitabile, si è riacceso il dibattito intorno alla futura gestione del Teatro Apollo. Si sta profilando la formula della fondazione ad hoc, pubblico-privata, guidata da una personalità di elevato profilo. Cadrebbe così nel vuoto l’appello di quanti, tra i portatori di interesse, si sono espressi a favore di una gestione univoca, nella logica della “messa in rete” dei tre contenitori comunali adibiti ad attività di teatro e di spettacolo.
La visione di “sistema”, del resto, è già ben collaudata in altre zone d’Italia e con esiti finora soddisfacenti. Lo ha confermato lo stesso Vacis, alludendo al caso di Reggio Emilia, dove persino la Provincia (o ex, che dir si voglia), continua a elargire il suo sostegno. Occorre rifletterci bene, prima di giungere a una soluzione definitiva. La comunità di riferimento chiede di essere ascoltata. Gli Amministratori (attuali e futuri) hanno il dovere di farlo, riservando il massimo zelo all’operazione, per non perdere l’occasione di rilanciare l’immagine di “Lecce città della Cultura” su scala almeno nazionale.
In ballo non c’è soltanto la gestione dell’Apollo, ma un progetto di promozione culturale di più ampio respiro, che punti alla diversificazione e all’inclusione. La sfida è quella di pensare a una proposta non esclusivamente elitaria (per sole «teste bianche», usando le parole di Vacis), ma flessibile e adattativa. Rispettosa al contempo di radici e identità locali (il grido di Tito Schipa jr non può rimanere inascoltato) e capace di distinguersi per un’impronta moderna, uniformata ai gusti delle nuove generazioni. I giovani ci appaiono distratti e preda di futili occupazioni. Chi ci lavora, però, sa bene quanto reclamino il bisogno di spazi di formazione e di partecipazione. Da questo punto di vista una “rete” di teatri comunali consentirebbe di diversificare l’offerta, garantendo a ciascun cartellone una propria specificità. Vacis ha insistito molto su questo punto: virtuoso è il circolo delle contaminazioni. Perché aprire un teatro non vuol dire semplicemente spalancarne all’occasione i portoni d’ingresso, ma rendere il palcoscenico fruibile quotidianamente, a giovani e meno giovani, studenti e professionisti, appassionati o semplici curiosi.
Indiscutibile è il valore pedagogico dell’esperienza. Il teatro «sorprende e scuote», si sforza di ripetere Eugenio Barba ai propri allievi. Quindi la formazione anzitutto, al fine di promuovere e incentivare una vera coscienza teatrale. Abbiamo la fortuna di contare su un tessuto dinamico, fatto di interpreti e operatori di qualità. Sosteniamoli e serviamocene. Agevoliamo i rapporti con le scuole, dove annualmente bambini e adolescenti si cimentano con profitto in prove di recitazione. Ma convochiamo soprattutto ai tavoli l’Università, che vanta una tradizione cattedratica illustre nell’ambito della Storia del teatro. Era la disciplina insegnata dal compianto Gino Santoro, che del teatro fece una ragione di vita. Suo maestro fu Silvio D’Amico, cui dobbiamo un ricchissimo Fondo custodito in una delle nostre biblioteche universitarie.
Questo straordinario patrimonio di idee, fermenti e tangibili documenti, pazientemente costruito nel tempo anche a costo di sacrifici personali, servito nondimeno a sublimare Lecce nello scenario culturale italiano, non merita di andare disperso. Abbiamo un’opportunità da sfruttare. Il Dams, voluto a furor di popolo e prossimo all’attivazione ministeriale. Il nuovo corso di laurea può fungere da collante tra le Istituzioni, riuscire ad attivare sinergie, farsi valvola di trasmissione di saperi ed esperienze, e perché no, fucina di talenti.
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