Dalla crisi si esce soltanto se si riduce la povertà

di Carmelo ZACCARIA
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Mercoledì 27 Aprile 2016, 16:57
Non sarà possibile uscire definitivamente dalla Grande recessione, scrive il premio Nobel dell’economia J. Stiglitz, se non si cambiano regole e mentalità, se non si attuano scelte politiche radicali in grado di dare impulso alla domanda, puntando senza indugio su investimenti pubblici in infrastrutture, tecnologia e istruzione; questo serve per creare nuovi posti di lavoro, recuperando tutto il potenziale delle nuove generazioni, facendo crescere i redditi della classe media e di quella parte di popolazione rimasta tuttora ai margini del consesso sociale, da tempo angustiata per la perdita del lavoro e per l’ avanzare dell’insicurezza, risucchiata da una nuova e perdurante povertà.
Servirebbero politiche incentrate sul superamento della disuguaglianza che da causa e conseguenza della crisi economica diviene essa stessa intralcio ed ostacolo all’auspicata ripresa oltre a rilanciare l’odiosa contrapposizione sociale con l’arcinota oligarchia dell’ 1%, cioè di quella parte più ricca del pianeta, che in questi anni ha visto ampliare e rafforzare a dismisura i propri guadagni ed il proprio potere di interdizione avocando a proprio vantaggio, certo con la complicità di un assuefatto ceto politico, ogni sorta di privilegio e di arricchimento. 

Detto per inciso, il prodigarsi dei super-ricchi nel riversare ingenti somme di denaro sui candidati nella campagna elettorale Usa di questi giorni non sembra proprio avere un risvolto filantropico.
Dopo più di cinquant’anni di studi sul tema, J. Stiglitz, nel suo ultimo libro “La grande frattura” (Einaudi), ricorda come sia conveniente per tutti superarla, approntando misure di regolamentazione più stringenti almeno per mitigare lo strapotere del sistema finanziario, collassato a seguito della crisi del 2008, vittima del suo stesso gigantismo, tra scommesse su derivati e crediti inesigibili sui mutui subprime concessi senza discernimento, privi di requisiti se non quelli di una invitante profittabilità da incamerare subito con una rapidità “predatoria”.
Sistema finanziario inondato in seguito da una massiccia iniezione di liquidità in gran parte stornata a favore di compensi milionari degli amministratori e azionisti delle banche, servita a rimpinguare i propri asset patrimoniali piuttosto che a sostenere imprese e famiglie salvandole con decisone dalla bancarotta, dalla perdita della casa e del proprio reddito. “È il sistema bancario che deve servire la società, non il contrario” afferma Stiglitz, sembrando ammonire tutti quei banchieri che oggi, come anime candide, sognano una nuova armoniosa eldorado con i clienti, dopo i disastri da loro stessi compiuti. D’altra parte un modo concreto e virtuoso per mostrarsi da subito più coraggiosi e meno avidi sarebbe quello di interpretare al meglio il quantitative easing finanziando progetti che investono nell’economia reale e negandoli a quelli utilizzati per operazioni speculative.

Rimane sotto i nostri occhi un mondo diviso, con pochi eletti che si tramandano per successione enormi fortune finanziarie, sempre alla ricerca ossessiva di vantaggi personali, pronti nell’appropriarsi di rendite di posizione, gestioni in monopolio, che siano concessioni o sussidi governativi, incentivi fiscali o capital gain non tassati a sufficienza, usando tutti i mezzi e leve necessarie (un esempio purtroppo allarmante di questo andazzo ci viene fornito dalle insolenti pruderie registrate nell’affaire delle commesse Total in Basilicata). Nella creazione di questa frattura il sistema finanziario ha certamente dato il suo contributo, ma anche le grandi compagnie societarie e multinazionali hanno beneficiato di un occhio particolare nell’ammorbidire i pochi regolamenti legislativi esistenti e ricorrendo a pratiche di elusione fiscale evaporizzando il proprio reddito in paesi molto permissivi e accoglienti. 

La crescente disuguaglianza che si innesta su principi neoliberali, per cui solo lasciando fare all’intelligenza e alla superiorità del mercato i problemi alla lunga si risolvono, è stata purtroppo drammaticamente smentita non solo con lo scoppio di bolle speculative, ma soprattutto dal perpetuarsi di soluzioni incoerenti “incanalate” all’interno del piano inclinato della politica di austerità che ha inasprito le disparità, oltre a dare sinora risultati deludenti, se è vero che dopo otto anni dall’inizio della crisi i redditi della classe media nei paesi occidentali si sono ridotti, mentre milioni di persone sono stati espulsi dal mondo del lavoro e molti altri vivono con l’assillo mortificante di perderlo. Bisogna riflettere come scriveva il sociologo Luciano Gallino sul fatto che “un lavoratore in esubero è al tempo stesso un consumatore che ha perso gran parte del suo potere d’acquisto”, con tutto quello che ciò comporta.
La disuguaglianza economica dunque danneggia l’efficienza dell’economia perché protegge il potere monopolistico dei pochi rinunciando a valorizzare, sottraendo a loro risorse, i settori più produttivi e innovativi; dall’altro lato si restringe l’area di eguaglianza delle opportunità per cui non tutti riescono a far valere il proprio potenziale, i giovani in particolare.

Ed infine ne risente irrimediabilmente anche la tenuta del sistema democratico indebolito dal crescente sentimento di prostrazione collettiva, in quanto viene meno la fiducia in una società percepita come iniqua e disuguale. “Senza fiducia, - conclude Stiglitz - non può esservi armonia, né un’economia forte. La disuguaglianza sta erodendo la nostra fiducia ed è tempo di cominciare a ricostruirla, per il bene delle future generazioni».

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