Il Novecento in un romanzo: leggete la Costituzione

Il Novecento in un romanzo: leggete la Costituzione
di Antonio ERRICO
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Mercoledì 15 Marzo 2017, 17:52 - Ultimo aggiornamento: 17:59
Veniamo tutti da lì, senza differenze. Veniamo tutti da un secolo terribile e stupendo, incantevole e pauroso. Da un tempo delle contraddizioni, dei contrasti, dei contrari, delle incertezze, delle negazioni. Quelli che hanno più di sedici anni, sono tutti figli del Novecento. Quelli che ne hanno di meno sono comunque figli dei figli del Novecento, che con la memoria si ritrovano ogni istante, consapevolmente o inconsapevolmente, a fare i conti per tentare di capire qual è la radice degli accadimenti, delle storie, dei fenomeni, qual è la strada dalla quale provengono e forse anche qual è quella per la quale stanno andando. Per capire chi sono.

Se è vero che è stato il secolo breve, come disse Eric Hobsbawm, è anche vero che è stato un secolo interminabile, come dicono altri. È stato il secolo di due guerre mondiali, stravolgenti. Della bomba atomica, dei Lager, dei Gulag, dell’uomo che arriva sulla luna, delle scoperte scientifiche formidabili e del progresso straordinario, dei conflitti tribali e della violenza cieca, della nascita e della fine delle grandi ideologie, dei misteri che bruciano ancora. Cronologicamente concluso, culturalmente ancora aperto, discusso, oggetto di dialettiche forti. Con il Novecento esiste anche una relazione emotiva, una ragione che si incontra e si intreccia con la passione.

Chiunque attraversi questo secolo nuovo, non può fare a meno di interrogare il Novecento. Le forme di interrogazione sono innumerevoli. La storia, per esempio: indubbiamente. La filosofia, la sociologia, la storia della scienza. Qualcuno che ti racconta qualcosa per la strada. La memoria personale e collettiva. La letteratura. Ecco: forse la letteratura può (potrebbe) costituirsi come sintesi essenziale, anche se per sua natura più che fornire risposte rilancia domande.

Certo, bisognerebbe fare selezioni, e le selezioni sono sempre arbitrarie, rispondono a criteri soggettivi. A volte quello che si esclude conta di più di quello che si include. Si potrebbe dire che non si può capire il Novecento se non si legge Eliot. Ma non si capirebbe nemmeno se non si leggesse Gozzano, e Montale, non si potrebbe capire senza leggere Joyce o Kafka o Salinger, o Buzzati, Svevo, Tozzi, Moravia, Mann, Màrquez, la Woolf e la Yourcenar, e certamente qualcuno direbbe Calvino, e Luzi e Penna, e ciascuno avrebbe una biblioteca personale da consigliare, e verrebbe in mente quando nel “Sipario ducale” di Paolo Volponi, Gaspare dice: i libri, i libri, “debbo cominciare a scegliere quelli da portar via. Bisogna scartare quelli inutili, e anche quelli penosi, e anche quelli indulgenti”. Perché ci sono anche libri inutili, penosi, indulgenti. Poi, probabilmente dare consigli sarebbe anche irrispettoso. Forse si potrebbe cavarsi d’ogni impaccio dicendo semplicemente come dice Agostino: tolle, lege. Prendi e leggi.

Eppure, nonostante la difficoltà, il rischio, nonostante il timore, noi, qui, vorremmo tentare l’azzardo di individuare dei riferimenti nella narrativa italiana del Novecento, con la consapevolezza, con la certezza che chiunque possa aggiungerne altri; anzi con la speranza che ciascuno possa aggiungerne altri.
Se un ragazzo chiedesse a me che scrivo queste righe quali romanzi del Novecento vorrei consigliargli appunto come sintesi di un tempo complesso e complicato, io con tanti dubbi, con infinite perplessità, comincerei con “Il fu Mattia Pascal” di Pirandello: con l’uomo morto e vivo nello stesso tempo, con la logica inesorabile e grottesca, con la commedia dell’ovvietà e del paradosso, dello scacco, dell’amarezza, dell’ironia. Però mi pentirei un istante dopo, perché mi verrebbe in mente per lo meno “Uno, nessuno e centomila”, e allora gli consiglierei di leggerlo tutto, di leggere tutto Pirandello.

Sull’“Esame di coscienza di un letterato” invece non avrei proprio nessun dubbio. Prima di ogni altra cosa gli direi che Renato Serra lo scrisse pochi mesi prima di morire in combattimento sul Pogdora, il 20 di luglio del 1915, a trentuno anni; gli direi della fede di quel ragazzo nella letteratura, e che si tratta di un piccolo libro, che si può leggere in pullman mentre si va a scuola e mentre si ritorna.

Gli suggerirei “Il quartiere” e prima di cominciare il romanzo di leggere e rileggere e riflettere su quei versi di Montale che Vasco Pratolini pone in epigrafe: “Codesto solo oggi possiamo dirti: /ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Ecco: forse tutto il senso del Novecento è raggrumato in quella negazione. Gli direi di leggere “La casa in collina” di Pavese, ma anche i “Dialoghi con Leucò”, ma anche le poesie di Pavese, come no?, Insomma, come per Pirandello, gli direi di leggerselo tutto, Cesare Pavese, tutto in una volta sola e poi di non riprenderlo mai più. Pavese si deve leggere quando la vita è tutta davanti; se lo si legge quando è dietro potrebbe essere pericoloso. Poi gli consiglierei “Casa d’altri” di Silvio D’Arzo. Vedo in lontananza i molti che fanno smorfie di disapprovazione. Va bene: lo consiglierei semplicemente per la perfezione dello stile. Lirismo, si potrà obiettare. Sì, ma non c’è niente di male. Talune volte gli specchi rimandano immagini deformate. Anche le immagini deformate sono una condizione del Novecento. Ancora: “La cognizione del dolore” di Gadda, “Il deserto dei Tartari” di Buzzati, poi “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa, quell’odissea visionaria e vertiginosa che è “Horcynus Orca” di Stefano D’Arrigo; quello che vuole di Elsa Morante, ma obbligatoriamente “Il mondo salvato dai ragazzini”; tutto quello che deve anche se non vuole di Primo Levi.

Alla fine gli consiglierei il più bel romanzo che sia stato scritto in Italia nel corso del Novecento. Dove si dice che la sovranità appartiene al popolo, che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, che la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto, che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e lo ricerca scientifica e tecnica, che l’Italia ripudia la guerra.

Mi correggo, allora. Non da Pirandello consiglierei di cominciare a quel ragazzo, né da nessun altro autore, ma da questo romanzo di autori vari che s’intitola: Costituzione della Repubblica Italiana.
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