La società di tanti “io” destinata a essere corrotta

Francesco Caringella e Raffaele Cantone, a Lecce per la presentazione del libro "La corruzione spuzza"
Francesco Caringella e Raffaele Cantone, a Lecce per la presentazione del libro "La corruzione spuzza"
di Claudio SCAMARDELLA
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Domenica 28 Maggio 2017, 19:56 - Ultimo aggiornamento: 1 Giugno, 20:08
“La differenza che passa tra i corruttori della prima Repubblica e quelli della seconda è la stessa che passa tra corsari e pirati”. L’efficace distinzione fatta ieri dal procuratore di Milano, Francesco Greco, alla presentazione a Lecce del libro “La corruzione spuzza” di Cantone e Caringella, sintetizza in modo chiaro il quadro di oggi rispetto ai tempi di Mani pulite. La corruzione è aumentata, ma soprattutto la corruzione non ha più confini: né geografici, né politici, né sociali. Coinvolge Nord e Sud, destra e sinistra, esponenti nazionali e amministratori locali, ricchi e poveri. E tocca non solo la politica, l’economia, l’establishment, lasciando immune la cosiddetta e presunta “società civile”. Gli addetti ai lavori confermano che siamo in presenza di un affarismo diffuso, si ruba per sé, ci si vende per poco, il fenomeno non riguarda più in modo esclusivo il rapporto tra sistema dei partiti e affari.

Sta qui, in questa “corruzione stracciona” e nella dilagante trasgressione delle regole, l’anomalia del caso italiano rispetto agli altri Paesi, dove certo la corruzione non manca, ma non assume i tratti distintivi di fenomeno di massa e di vera e propria metastasi nel tessuto connettivo della società. Per questo dovremmo quanto prima liberarci di un comodo luogo comune: in Italia il virus della corruzione, dell’illegalità, della violazione delle regole non riguarda sempre mondi e ambienti lontani dai nostri, come se il marcio non toccasse da vicino e tutti i giorni ognuno di noi, come se anche noi non fossimo costretti a calarci e ad alternarci di continuo nei ruoli di vittime e carnefici della corruzione, di attivi trasgressori di regole o di bersagli delle altrui trasgressioni.

Un virus che ci colpisce e attecchisce fin da giovani. Qualche mese fa, quando era ancora presidente nazionale dell’Anm, Piercamillo Davigo, nel corso di un incontro con gli studenti a Lecce, lanciò una severa strigliata alle scuole italiane, colpevoli di non educare i nostri giovani alla lealtà, come invece fanno quelle americane, ma alla slealtà. Pur non trovando sempre condivisibili le posizioni di Davigo, difficile dargli torto in questo caso: si comincia dai banchi di scuola a diventare cittadini sleali, a inseguire le scorciatoie, a truccare le sfide e gli esami, a violare le regole per raggiungere un traguardo. A elevare, insomma, l’imbroglio come virtù anziché come un disvalore. Si comincia lì - spesso con la complicità, se non addirittura con la spinta degli stessi genitori - a diventare allergici alle regole, a esaltare la furbizia, a propendere per il raggiro degli insegnanti e degli stessi compagni di classe, perfino a ostentare fierezza e orgoglio se si riesce ad aggirare con astuzia gli ostacoli. Il sistema formativo italiano, fin dai primi anni di frequentazione, non serve a formare cittadini leali. Senza dimenticare quella distorta cultura sportiva, sposata spesso dai genitori, che inculca nei bambini l’ossessione del raggiungimento del traguardo e della vittoria anche a scapito della lealtà e del rispetto delle regole.

Nel corso del cammino della vita, quell’imprinting si sviluppa, alimenta nuove e più sofisticate forme di slealtà verso gli altri, con la ricerca di trucchi e scorciatoie. Finanche l’iscrizione in una classe anziché in un’altra, o l’accesso a una facoltà diventano materia di trattative sottobanco e di scambi di favori. E l’imprinting cresce nella vita adulta, con l’assunzione di nuove responsabilità. Nelle professioni, innanzitutto. Pensiamo a quelle più esposte e con evidenti ricadute pubbliche. Ieri, all’Apollo c’erano molti avvocati, oltre a molti magistrati, che applaudivano e condividevano le denunce più dure di Greco, Cantone e Caringella. Difficile non condividere, a parole, che la corruzione spuzza, ci ruba il futuro, mina la democrazia. Difficile non condividere, a parole, che la trasgressione sistematica e diffusa delle regole che sono alla base del patto di cittadinanza corrodono lo Stato di diritto, fondato sulla storica conquista, tre secoli fa, di un principio fondamentale: la legge è uguale per tutti, e tutti sono uguali davanti alla legge. Difficile, certo. A parole. E anche con una buona dose di ipocrisia. La corruzione spuzza. Ma vogliamo parlare dell’odore della giustizia, soprattutto nelle piccole città italiane, dove la scelta di un avvocato con le entrature giuste, le relazioni che contano, i rapporti magari amicali e parentali, riesce a ottenere risultati spesso in contrasto proprio con il diritto e la giustizia, e con il principio della legge uguale per tutti? Vogliamo parlare della faccia feroce e inflessibile della legge solo con i deboli? E vogliamo parlare dei punti di riferimento e dei modelli comportamentali da emulare che, negli altri Paesi occidentali, sono stati inverati con successo da una classe sociale come la borghesia, con il dispiegamento di un’egemonia culturale nella società, e che invece in Italia, e soprattutto al Sud, sono del tutto mancati? Quante volte, ogni giorno, siamo testimoni di esempi di malcostume, di reti di protezione, di imbrogli e malaffare, di regole trasgredite da “benpensanti” e cultori (a parole) dell’onestà? E quante volte, di fronte a comportamenti scorretti, ci sentiamo dire “così fan tutti”, “gli scandali sono altri”, il cattivo “esempio viene dall’alto”? La corruzione spuzza, certo. Ma noi, tutti noi, non siamo del tutto estranei.

Ci porterebbe lontano, qui, risalire alle cause storiche di questa anomalia italiana, a cominciare dalle deboli e contraddittorie basi di massa dello Stato unitario, dalla mancanza di un’autentica rivoluzione borghese nella nostra società e dalla conseguente incerta incarnazione nel nostro Paese dello Stato di diritto. Senza dimenticare i frutti avvelenati che hanno prodotto, nei decenni a noi più vicini, l’esplosione dell’individualismo senza freni, l’esaltazione del successo e della ricchezza comunque conquistati, l’ostentazione dei consumi e dei beni materiali, la spettacolarizzazione del cinismo e della furbizia, il raggiungimento dei traguardi con ogni mezzo, la mitizzazione della “vita da bere”, la demonizzazione e la demolizione di tutto ciò che è pubblico: Stato, regole, patto, tasse, Costituzione, tutti colpevoli di aver imprigionato le libertà individuali e ingabbiato gli spiriti animali. Né è nelle nostre competenze discutere delle “tecnicalità” legislative, di prevenzione e di repressione, per arginare il fenomeno innanzitutto nella gestione dei poteri. Ciò che, invece, appare interessante è che anche gli addetti ai lavori parlino ormai della necessità di una rivoluzione culturale o, meglio, di una riforma intellettuale e morale che riscopra una scala di valori, riattivi le coscienze collettive e la partecipazione democratica.

Perché c’è un rapporto diretto, non solo temporale, tra la profonda crisi della democrazia partecipata e il dilagare della corruzione come fenomeno di massa. C’è una evidente interconnessione tra la sfiducia nello Stato come soggetto riconosciuto dai cittadini e la scomparsa nella coscienza di ognuno di noi del concetto di interesse generale. E c’è un filo che lega lo scioglimento, fino alla scomparsa, dei grandi soggetti collettivi con l’avanzare dell’ormai famosa “liquidità” nella società e nell’economia. Stanno sparendo, uno dopo l’altro, tutti gli agenti unificanti della società, i luoghi e i contenitori di aggregazione civile oltre che culturale, dove si stava insieme, ci si alleava con gli altri e ci si fidava degli altri per raggiungere obiettivi comuni, magari per coltivare un ideale e un sogno di cambiamento. Da molto tempo, ormai, ognuno di noi è più solo, ognuno di noi ha perso la fiducia negli altri, e ognuno di noi cerca e persegue soluzioni sempre più da solo. Anche con i trucchi, la slealtà, la trasgressione delle regole. Questa corrosione dell’idea stessa di società, questo progressivo venir meno delle ragioni per allearsi e stare insieme, mina alla base il patto di cittadinanza, quel contratto che ha consentito agli uomini di entrare nella modernità superando lo stato di natura del “tutti contro tutti”. Si innesca così una spirale viziosa: la caduta di fiducia negli altri e l’assenza di valori comuni alimentano la propensione a trasgredire quel patto, con le scorciatoie, la furbizia, la corruzione, l’illegalità. In politica. Nell’economia. Nella società. Nei luoghi di lavoro. Nella scuola. Nell’Università. Ovunque. Sta qui, forse, il punto centrale della questione.

Avvertiamo in modo evidente che, prima ancora di nuove leggi e nuovi codici, ci mancano pensieri forti e lunghi, anzi ci manca una rifondazione del pensiero e dei valori, una ricognizione del sapere come avvenne con l’Illuminismo. E anno dopo anno, stiamo comprendendo quanti guasti ha comportato in ognuno di noi, nella tenuta delle società e nel suo tessuto connettivo la liquidazione sommaria delle ideologie, portatrici certo di grandi tragedie e di grandi macerie nella storia dell’umanità, ma anche incubatrici di sogni e ambizioni capaci di tenere “insieme” moltitudini di persone con un orizzonte ideale e una forte tensione morale. Con l’ideologia della “deideologizzazione” abbiamo di fatto buttato il bambino con l’acqua sporca. E, travolti dalle macerie delle ideologie, abbiamo smesso di pensare “insieme” e di guardare al futuro “insieme” in un rapporto di fiducia con gli altri. Abbiamo smesso di parlare con il “noi”. Ma, al di là delle “tecnicalità” legislative, sta proprio nella riscoperta del “noi” il principale antidoto alla corruzione e la chiave della vittoria contro vecchi corsari e nuovi pirati. Perché se la società è la somma di tanti “io” anziché la sintesi di diversi “noi” è destinata a essere corrotta.


 
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