La provocazione di Briatore fa bene al Salento

di Adelmo GAETANI
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 28 Settembre 2016, 19:56
Se il problema è parlar male di Flavio Briatore o rispondergli per le rime, non c’è problema. L’uomo non fa nulla per riuscire simpatico o per farsi accettare. Non sa cosa sia il “politicamente corretto” o il discorso accorto, la sua cifra è la provocazione continua, quasi sempre fine a se stessa, ma non si può negare che qualche volta abbia potuto cogliere nel segno.
La vita di Briatore esemplifica un modello che si può anche invidiare (ricchezza, belle donne, yacht, jet, fuoriserie) ma non condividere, se non altro perché sarebbe egoistico e irrealistico immaginare una società che ha come faro l’opulenza esibita e non le mille povertà da combattere ogni giorno e, infine, sconfiggere.

Ma, nel caso della “provocazione” del fondatore di Billionaire sul turismo e il Salento, non è difficile cogliere, come pure qualcuno ha fatto (puntuali le considerazioni di Sebastiano Venneri, responsabile del Settore Mare di Legambiente) elementi di interesse che si sono materializzati in una sorta di pugno nello stomaco su un corpo - quello salentino, ma, più in generale di tutto il Mezzogiorno - un po’ stanco, sazio, fermo a contemplare orgogliosamente i successi in campo turistico, e, forse, meno propenso a riconoscere le proprie criticità e arretratezze come presupposto per potersi lanciare nelle necessarie sfide innovative e competitive.
Briatore, con il suo linguaggio brusco e diretto, tanto fastidioso quanto pungente, ha sollevato un polverone, riuscendo a centrare due obiettivi in un colpo solo: ha lanciato in grande stile il suo Twiga Beach Club, nuovo lido di lusso che aprirà i battenti il prossimo anno ad Otranto - ed è quello che più voleva -, ma ha anche acceso i riflettori nazionali su limiti e potenzialità ancora inespresse del sistema turistico salentino, pugliese e meridionale (vedi, ad esempio, la paginata del Corriere della Sera del 22 settembre scorso dal titolo “Briatore e la Puglia. Rissa sui ricchi”). 

In generale, è meglio parlare con chiarezza, piuttosto che essere omissivi. Da questo punto di vista, tutto si può dire, tranne che l’uscita di Briatore sia stata inutile o addirittura dannosa dal momento che il confronto - seppur acceso - sul presente e sul futuro di un settore nevralgico per la nostra economia, qual è diventato il turismo, non può essere rubricato come un maldestro esercizio da evitare ad ogni costo.
Il confronto continuo, anche con chi propone soluzioni a prima vista poco ragionevoli, è necessario perché allarga gli orizzonti della nostra visione delle cose, ma soprattutto perché ci costringe a fare i conti con la realtà e la crudezza dei numeri. E realtà e numeri (vedi “Il Sud deve morire” di Carlo Puca, Marsilio Ed.) ci dicono che su un totale di 380 milioni di presenze turistiche (160 sono straniere e solo una su 10 si avventura a Sud di Roma) solo 76 milioni (appena il 20%) arrivano nel Mezzogiorno. Se si sposta l’attenzione sul fatturato emerge che solo 4 miliardi di euro, su un totale di 32, ricadono sul Mezzogiorno. L’analisi dei dati sul turismo a livello regionale è impietoso: se il Lazio e la Lombardia fatturano 5,3 miliardi di euro ciascuna e il Veneto 5, la Campania si ferma a 1,4 miliardi, la Sicilia a poco più di 1, la Puglia a 580 e la Calabria 145. Del resto, nonostante le favorevoli condizioni ambientali e climatiche, persino il turismo balneare nel Sud incide solo per il 24,7% rispetto al totale nazionale.

Vero è che i numeri sono in evoluzione e che soprattutto la Puglia da alcuni anni registra performance invidiabili, segno che molta strada è stata fatta. Ma, è innegabile che molto resta da fare se si vuole potenziare l’attrattività del territorio ed essere competitivi in un mercato del turismo che diventa sempre più globale e ricco di esigenze e aspettative non omologabili.
Le persistenti e gravi carenze infrastrutturali, le criticità di alcuni servizi strategici (i trasporti esterni ed interni, in primo luogo), l’aggressione al territorio con la cementificazione e l’abusivismo, lo scarso rispetto dell’ambiente, la limitata professionalità che spesso penalizza il sistema di accoglienza, l’inadeguatezza di molte strutture turistiche: sono i temi richiamati sistematicamente da quanti (organi di stampa, operatori del settore, amministratori, opinion leader) vogliono far crescere il movimento turistico nel Salento e in Puglia nel rispetto di una storia millenaria che ha plasmato nei secoli un territorio magico, irripetibile, prezioso, dove è possibile arrivare per un soggiorno - riservato non solo ai ricchi - che sia allo stesso tempo rilassante ed esperienziale e capace di attrarre indistintamente donne e uomini di ogni età. Da questo punto di vista, il Salento non potrà mai diventare la Florida dove i milionari americani vanno a svernare nella loro vecchiaia.

Il Salento è storia, cultura, tradizione: è una terra che richiede coinvolgimento e partecipazione anche agli ospiti di un giorno, di una settimana, di un mese. O agli ospiti che, avendo respirato quest’atmosfera, decidono di fermarsi per sempre. E ormai sono tanti che lo fanno.
La battaglia sui modelli di turismo sembra inutile e stantìa: l’unico modello vincente è quello che riesce ad integrare virtuosamente l’offerta, senza mai abbassare la guardia sulla qualità dei servizi e sulla loro efficienza. Già questo è un modo per selezionare gli ospiti verso l’alto.

La cosiddetta polemica Briatore-Salento non ha fatto altro che riproporre, con parole diverse e con ricadute ben più ampie, lo scontro di quest’estate tra il modello turistico elitario di Otranto e quello massificato di Gallipoli. Anche in quel caso la disfida finì quando si ebbe a comprendere che la parola d’ordine “integrazione” poteva essere la risposta giusta a contrapposizioni spesso pretestuose. 
Proprio l’integrazione e l’ascolto reciproco, in un sistema turistico coordinato quanto ricco di specificità, può essere il punto di raccordo tra i progetti del Grande antipatico e il Salento, purché da una parte non ci sia una volontà colonizzatrice e dall’altra, dalla nostra parte, non prevalgano la paura e la chiusura di fronte alla “provocazione” dello straniero.
© RIPRODUZIONE RISERVATA