Cafiero de Raho: «I militari sono deterrente e presidio ben visibile, i cittadini si sentono più sicuri»

Cafiero de Raho: «I militari sono deterrente e presidio ben visibile, i cittadini si sentono più sicuri»
di Gigi Di Fiore
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Lunedì 8 Febbraio 2016, 08:45
Da tre anni procuratore capo a Reggio Calabria, dopo aver coordinato la sezione della Dda napoletana che ha indagato sulla mafia dei Casalesi, Federico Cafiero de Raho segue con attenzione le vicende della sua città.

Procuratore Cafiero, che pensa dell’annuncio del ministro Alfano che annuncia l’invio dell’esercito a Napoli?
«Come ho spesso sostenuto in altre occasioni, sono convinto che l’esercito sia un utile elemento aggiuntivo per arginare la criminalità».

Non c’è il rischio di una militarizzazione del territorio?
«Il rischio di una militarizzazione non penso esista in situazioni come quella napoletana. L’esercito può diventare un sostegno alle forze dell’ordine, quando si ritiene che gli organici non siano sufficienti a contrastare una criminalità particolarmente insidiosa».
Lei lavora a Reggio Calabria, dove l’esercito presidia le strade. Che cosa significa avere i militari presenti stabilmente in una provincia?
«Significa un controllo capillare, un deterrente efficace. Significa anche liberare forze ed organici di polizia, carabinieri e guardia di finanza per le investigazioni, l’intelligence, l’arresto di latitanti».

Possibile che i 440 agenti in più promessi dal ministro Alfano da soli a Napoli non bastano?
«Non si tratta di numeri. In una provincia come quella napoletana, ma anche attualmente a Reggio Calabria o in passato nella provincia di Caserta, l’esercito rimarca la presenza fisica dello Stato».

Una divisa fissa in strada aumenta anche la percezione della sicurezza?
«Ne sono convinto. Nella provincia napoletana esiste una situazione di fibrillazione tra gruppi, che aumenta il senso di insicurezza generale».

Una scelta di prevenzione?
«Sicuramente. Sono da tre anni al lavoro a Reggio Calabria, non conosco quindi tutti i dettagli aggiornati degli scenari criminali napoletani. Sono convinto, però, come discorso generale, che la prevenzione del crimine significa anche presenza sul territorio. In quest’ottica, i militari per strada sono un presidio dello Stato. Chiaro che il loro compito non è il contrasto della criminalità, ma il controllo di zone con posti di blocco fissi, in sinergia con le forze dell’ordine».

Il famoso modello Caserta, attuato nel periodo stragista della storia dei Casalesi, ha funzionato?
«Lo dicono i fatti. I protagonisti di quella stagione sono tutti finiti in carcere. Le forze dell’ordine hanno avuto più tempo e uomini per dedicarsi all’intelligence con un sistema informativo in collegamento continuo con i militari che operavano i controlli per strada. Insomma, l’esercito non è un’alternativa, ma un’aggiunta con compiti diversi».

Prevenzione e repressione: cosa significano?
«Tecnicamente la prevenzione spetta al prefetto, che coordina il sistema di controllo sul territorio. La repressione al procuratore della Repubblica che si avvale delle forze dell’ordine. Le due fasi devono interagire di continuo. Sono due mondi che devono comunicare. Eppure, non bastano nel contrasto alla criminalità».

Perché?
«Vanno attivati presidi preventivi di carattere sociale, economico e culturale. Penso al rafforzamento della scuola, alle occasioni di lavoro, ad un’istituzione politica che diventi esempio in positivo. La ragazza che avviò la raccolta di firme per una sede dell’Università a Scampia fece molto, ad esempio. Come fanno molto, con il loro esempio, le associazioni e i volontari che, con sacrificio, contribuiscono a fornire alternative alla strada ai ragazzi di quartieri non facili».

Obiettivi pieni di difficoltà?
«Sicuramente. Pensi a quanti giovani, pur avendo occasioni di occupazione, preferiscono cedere in alcune realtà alle lusinghe della criminalità. Guadagni facili, pochi sacrifici, anche se affrontano una vita violenta e a rischio continuo. Per impedirlo, l’educazione al senso civico e alla legalità può fare molto».

Che tipo di criminalità organizzata pensa sia oggi quella della provincia di Napoli?
«Il risultato di presenze criminali dai vertici instabili. Prima la permanenza duratura di capi e di clan assicuravano tranquillità nelle singole zone, dove estorsioni e spaccio restavano nelle stesse mani senza frizioni. Oggi tutto è frammentato e in movimento. Questo significa che le forze dell’ordine e gli inquirenti hanno funzionato, mettendo in carcere quei capi di una volta. Ma c’è qualcosa, nella prevenzione sociale, che evidentemente non va».

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