La borghesia leccese
e la cura della città

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Martedì 18 Aprile 2017, 21:47 - Ultimo aggiornamento: 22 Maggio, 21:41
Caro Direttore,

"kaví", in una lingua molto antica, significa "saggio". Dalla radice di questa parola, "kav", deriva il vocabolo "cura". È saggio, infatti, chi ha cura, zelo, attenzione per ciò che gli è stato affidato: un incarico, una persona, un bene. Lo stato desolante in cui versa Piazza Mazzini dice di un’amministrazione incurante e dunque priva di saggezza, ma forse anche di una cittadinanza ridotta al silenzio ed alla rassegnazione, assuefatta all’abuso.

Un tendone bianco di plastica che espone giocattoli "made in China"; un altro simile riparo per ospitare un tiro a segno e, a pochi metri di distanza, una giostra da sagra paesana: Piazza Mazzini sembra quasi ospitare un residuo permanente di quel festival agostano degli ambulanti e dei piazzisti che si suole ancora, sfacciatamente, intitolare a Sant'Oronzo. Ci si abitua a tutto questo e si finisce così per non vedere. Da leccese che da molti anni vive a Milano, vorrei davvero che questo luogo fosse più amato dai suoi abitanti.

Mi rivolgo, allora, per il suo tramite, alla borghesia operosa, colta e sobria di questa città, composta da persone che non hanno cariche amministrative ma che conoscono ed hanno accesso a chi ne ha: ad un occhio esterno, si ha la sensazione che non abbiate interesse a fare sentire la vostra voce, ad indignarvi ed a dimostrare l’orgoglio di essere leccesi esprimendo un'idea di reputazione collettiva, di buon gusto e di intransigenza verso chi amministra. Siete però nella condizione di farvi ascoltare, e già soltanto questo vi responsabilizza nei confronti di chi è meno ascoltato di voi.

Potete allora continuare a scambiarvi le modeste esperienze dei rispettivi interessi individuali e convincervi che quello sia l’unico dei mondi possibili, oppure potete alzare lo sguardo e pensare a voi stessi come ad una comunità di cittadini che non tace sempre e comunque. E così pretendere che i vostri figli e – ancor di più – i figli dei vostri amici abbiano spazi decorosi in cui incontrarsi e giocare, e protestare quando tutto ciò che vi viene offerto sono un paio di bancarelle di cineserie nel bel mezzo del cuore commerciale della città, messe lì per offendere il buon gusto ed il buon senso o forse - ed almeno se ne vedrebbe una ragione! - per fare un favore a qualcuno.

Alla vostra saggezza e alla vostra cura sono affidate le sorti di questa città, perché chi amministra vi teme ed ha bisogno di voi.


Marco Carone

(Milano)




Gentile Carone, è vero: spesso i nostri occhi si abituano a ciò che ci gira da troppo tempo intorno e si finisce così per non vedere. Dunque, per non indignarsi, non protestare, non denunciare. Da qui la rassegnazione allo stato delle cose esistenti, la convinzione diffusa che impegnarsi per il cambiamento è solo tempo perso. Un gravissimo errore. Lei si rivolge “alla borghesia operosa, colta e sobria di questa città”. Fa bene, ma ho qualche dubbio che il suo appello possa sortire effetti concreti. Anche a Lecce, come in quasi tutte le città del Sud, la borghesia - qui essenzialmente borghesia delle professioni - non hai mai assolto alla funzione storica dispiegata negli ultimi due secoli mezzo in Europa e anche in parte dell'Italia settentrionale. Più che assumere il ruolo di classe dirigente, capace di perseguire e realizzare un disegno complessivo di organizzazione della società e, dunque, di interpretare anche la funzione di “esempio comportamentale” per gli altri ceti, si è limitata a contrattare interessi e bisogni con i poteri costituiti, visibili e non, sulla base di esigenze strettamente corporative e individuali, scambiando spesso i “diritti” per “favori”. E si è così adagiata in una posizione di subalternità culturale e politica, non di rado di vera e propria sudditanza verso i potenti di turno.  Lei denuncia il caso di Piazza Mazzini, prima ancora che questo luogo vedesse, addirittura, l'installazione di una struttura per il pattinaggio sul ghiaccio, uscita come sorpresa dall'uovo di Pasqua. Ma potremmo parlare anche delle troppe auto in uno dei centri storici più suggestivi del mondo, candidato a patrimonio dell'Unesco, e delle tante piazzette davanti alle chiese del Barocco trasformate in parcheggi. Sarebbe, tuttavia, sbagliato raccontare Lecce e il Salento solo sul versante dei ritardi, del degrado, dell'immobilismo. Questa è una terra in cammino, che mostra tante facce, anche in contrasto tra loro. Proprio a Lecce, a poche centinaia di metri da Piazza Mazzini, stanno tornando all'uso pubblico in questi mesi importanti contenitori culturali (dalle Mura urbiche al convento degli Agostiniani, dal Castello Carlo V restaurato al ritrovato teatro Apollo) che potranno arricchire ancora di più l'offerta turistica della città. Il cambiamento non è mai un atto, ma un processo. Anche lungo e, talvolta, contraddittorio. Certo, se ci fosse una spinta dei cittadini nella “cura” delle cose pubbliche, con un atteggiamento più attivo e meno di sudditanza, quel processo subirebbe un'ulteriore, positiva accelerazione. Dobbiamo, però, essere fiduciosi. Il cambiamento genera cambiamento, crea nuovi bisogni e nuove esigenze, oltre che nuove aspettative e nuovi ceti. E, magari, prima o poi genera e diffonde anche il senso (la necessità?) di una cittadinanza attiva.

 
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