Xyella, l’analisi di Accotto, direttore dell’Ipsp di Torino: «La malattia si sta allargando. Vogliamo stare a guardare?»

Xyella, l’analisi di Accotto, direttore dell’Ipsp di Torino: «La malattia si sta allargando. Vogliamo stare a guardare?»
di Maria Claudia Minerva
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 20 Gennaio 2016, 10:08 - Ultimo aggiornamento: 13:39

Di Xylella fastidiosa nel Salento ha sentito parlare dal 2013, da alcuni ricercatori dell’Unità di Bari dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante (Ipsp) che dirige. «Sebbene a distanza, ho comunque seguito l'evoluzione della vicenda legata al batterio - sottolinea il dottor Gian Paolo Accotto, direttore dell’Ipsp – ed ero anche presente nel 2014 al convegno internazionale che si è svolto a Gallipoli».
Professore Accotto, l'inchiesta della Procura ha messo sotto accusa i ricercatori, oltre al commissario delegato per l'emergenza Giuseppe Silletti e alcuni dirigenti regionali. Lei cosa pensa di questo attacco alla Scienza?
«Non lo definirei un vero attacco alla scienza. È possibile che la Procura abbia sopravvalutato le posizioni di alcuni movimenti locali “ambientalisti”, e sottovalutato i dati a disposizione nella letteratura scientifica. Per capire meglio l'intera vicenda bisognerebbe avere accesso alle perizie, al momento non disponibili. Credo che le persone che hanno operato sul versante scientifico abbiano fatto bene il loro lavoro e sono sicuro che usciranno pulite da questa storia».
I ricercatori sono stati accusati di aver fornito informazioni parziali all'Europa.
«Non c'è nessun elemento concreto per dire che hanno fornito informazioni parziali o false. Hanno riportato la presenza di Xylella in Salento, cosa che non è stata confutata. A qualcuno sfugge che nel momento in cui la Xylella viene trovata in un territorio della Ue, automaticamente lo stato membro la deve combattere, perché il batterio é nella lista europea dei patogeni da quarantena dal 1992. Poi si può discutere se sia o meno l’agente principale del disseccamento degli ulivi, ma la sua presenza è stata riscontrata e per questo motivo va combattuta. Quindi il ministero ha solo applicato quello che uno Stato membro deve fare, non è lo scienziato che può impedire o ordinare gli abbattimenti».
In pratica, lei dice che, se anche il disseccamento degli ulivi non dipendesse solo da Xylella, il fatto comunque che sia stata riscontrata obbliga l'Italia ad attuare le misure previste dall'Europa per gli organismi da quarantena.
«Esattamente. Se la Xylella fosse stata riscontrata in Spagna o in altri Stati sarebbero scattate le stesse procedure. Il ministero e il commissario Silletti si sono solo adeguati a quello che prevede l'Unione Europea in questi casi, vale a dire eradicare il batterio laddove sia ancora possibile o contenerlo, pur sapendo che tagliare gli ulivi non dà sicurezza di fermare la malattia».
Allora a che serve sradicare le piante?
«Serve a contenere l'epidemia, a rallentarla e dare alla ricerca più tempo per cercare di trovare una cura. Fermo restando che a proposito di tagli in Puglia mi sembra siano stati abbattuti poco più di 1.600 ulivi su un patrimonio olivicolo di 60 milioni di piante: il rapporto è un ulivo ogni trentamila, francamente non mi sembra che si sia voluto distruggere l'olivicoltura, semmai invece si è tentato di salvarla, cercando di limitare l'infezione. In ogni caso, ribadisco, quella di abbattere è una decisione politica, non degli scienziati, che invece si occupano di altro».
Pensa che i ricercatori impegnati nello studio della Xylella abbiano fatto il loro dovere?
«La ricerca ha fatto molto in questo periodo, tutto sommato breve, c'è stato un buon lavoro di squadra, perché i ricercatori del Cnr e dell’Università sono riusciti prima a isolare questo batterio, che non è facile tant'è che si chiama appunto “fastidiosa”. Poi hanno estratto il Dna e hanno determinato la sequenza del genoma, lo hanno confrontato con altri ceppi già noti in altri continenti: così è stato possibile capire che l'origine del ceppo diffusosi nel Salento è l'America centrale, diverso quindi dal ceppo diffuso in California, dove ha attaccato la vite, o in Brasile dove ha colpito gli agrumi. Dopodiché, a livello locale hanno cercato e trovato un vettore, la cicalina, conosciuta comunemente come “sputacchina”, scientificamente “Philaenus spumarius”, per poi indagarlo nei suoi comportamenti. Non solo. Cercano anche di capire se esistono varietà di ulivo resistenti o almeno tolleranti alla Xylella, direi che non è poco. Ma questo lavoro, ripeto, esula dalla decisione di abbattere o meno perché se la Xylella fosse arrivata in un punto qualsiasi dell'Europa le misure da attuarsi sarebbero state le stesse. E a prescindere dal fatto che produca o meno una malattia, e quindi manifesti i segni dell'infezione, l'Ue lo considera un organismo da quarantena da cui stare ben alla larga».
Alcuni scienziati sottolineano che abbattere non serve, ma che, invece, bisogna curare gli ulivi imparando a convivere con la malattia. Può essere una soluzione praticabile?
«Sì, ma imparare a convivere con il batterio richiede anni, nel frattempo non possiamo permettere che la malattia si allarghi: e si sta allargando, abbiamo visto le planimetrie del commissario e fa paura la rapidità con cui si sia propagato il contagio da un anno all'altro. Vogliamo stare a guardare e basta?»
Lei cosa proporrebbe?
«In questo momento bisogna mettere insieme le forze di chi intende seriamente lavorare al problema, lasciando da parte contrapposizioni e campanilismo. La questione è davvero grave e solo guardando l’interesse comune si potranno ottenere risultati e soluzioni. Nessuno ha la bacchetta magica, ma le lotte non servono, bisogna puntare su una strategia comune.

© RIPRODUZIONE RISERVATA