I fatti si verificarono a Surbo il 6 febbraio del 2013. Stando alla querela presentata dalla vittima, e alla successiva informativa redatta dai carabinieri della locale stazione, Della Patria si sarebbe introdotto nell’abitazione della donna, una 40enne del posto, con un pretesto, probabilmente la discussione di alcune pratiche che interessavano la donna: una volta all’interno, l’avrebbe afferrata per un braccio, tirandola a sé, sollevandole la maglietta e palpeggiandole il seno. Non contento, si sarebbe spinto fino a trascinare la malcapitata su un divano, sarebbe poi riuscito a denudarla, afferarle la mano e poggiarla sulle sue parti intime. Infine, sempre secondo l’accusa, le avrebbe messo la mano sul pube e l’avrebbe baciata sul collo. Una violenza sessuale, dunque, che si configura anche se l’atto sessuale vero e proprio non è consumato. L’aggressione si sarebbe conclusa solo quando un’amica della donna ha suonato al campanello: proprio lei ha visto Della Patria andar via trafelato.
La situazione rischiò di degenerare quando venne a sapere tutto il marito della vittima: poco dopo i fatti, qualcuno segnalò un uomo, armato di ascia, nei pressi dell’abitazione di Della Patria. Era proprio il marito della 40enne, che aveva pensato di farsi giustizia da sé. Non fece in tempo, per fortuna: tutti furono portati in caserma, e lì emerse quella che oggi i giudici considerano la verità. La donna raccontò la violenza subita, e furono ascoltati come testimoni sia l’amica che il marito. Tutti furono ritenuti attendibile, tanto che il 53enne fu arrestato.
Diversa, ovviamente, la versione dell’imputato, difeso dagli avvocati Antonio Savoia e Anna Maria Palazzo. Già ai carabinieri, la sera stessa dell’arresto, raccontò che non c’era stata alcuna violenza. Non potendo ovviamente negare di aver incontrato la donna (vista la testimonianza dell’amica di lei), spiegò che si incontrarono una prima volta nel primo pomeriggio a casa dell’uomo per discutere una pratica; successivamente si sarebbero rivisti a casa di lei, e stando alle prime dichiarazioni dell’imputato, sarebbe stata proprio la donna a incoraggiarlo a farsi avanti: il rapporto, insomma, era stato consenziente, e la 40enne non era stata costretta. Questa l’ipotesi che gli avvocati difensori cercheranno di far emergere nell’appello che presenteranno contro questa sentenza.