Ergastolo per Andrea Capone e per Pauilin Mecaj, 28 e 31 anni, di Lequile. La Corte d'Assise di Lecce non ha creduto alle parole di perdono e pentimento pronunciate dai due imputati il 15 novembre scorso prima dell'inizio della requisitoria del pubblico ministero Alberto Santacatterina sull'omicidio dell'ex bancario di Monteroni, Giovanni Caramuscio, ammazzato a colpi di pistola la sera del 16 luglio dell'anno scorso mentre prelevava denaro in contante dallo sportello bancomat di Lequile, nel Salento, del Banco di Napoli di via San Pietro in Lama, alla presenza della moglie.
La difesa: il minimo della pena
Il massimo della pena è stato inflitto dal collegio presieduto dal giudice Pietro Baffa, con a latere la collega togata Maria Francesca Mariano ed i giudici popolari.
L'accusa: ruoli diversi
L'accusa si era soffermata sui diversi ruoli avuti dagli imputati, secondo quanto emerso dalle indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo e dalle ammissioni fatte. Uno solo sparò e uccise. L’altro non era armato. Ma, per l’accusa, era comunque in grado di prevedere ciò che sarebbe potuto accadere. Consapevole che il complice impugnava un’arma carica e che l’aveva puntata per farsi consegnare il denaro. «Il mandante di un omicidio non uccide materialmente - ha spiegato Santacatterina - ma concorre nel delitto perché contribuisce a cagionarlo».
La confessione di Mecaj
Dei due, Mecaj ha confessato: lo ha fatto nell’udienza di apertura del processo, il 14 aprile, leggendo una lettera di scuse in cui ha sostenuto di essere ubriaco, di non essere quindi in sé ma di aver avuto come unico scopo la rapina.
Una confessione “provocata” - secondo l'accusa - dagli indizi e delle testimonianze raccolte dai carabinieri del Nucleo investigativo. Diversa invece la posizione di Capone: anche per lui una lettera di scuse, nella quale tuttavia si era detto inconsapevole che l’amico Mecaj si fosse portato dietro una pistola. Rapina sì, in altre parole. Ma non omicidio.
Il computo della pena
«Non possiamo sapere cosa abbiano nel cuore i due imputati», ha aggiunto il pm che ha però poi letto le intercettazioni in carcere, registrate subito dopo i fatti, per sostenere la tesi che non vi sia stata alcuna forma di ravvedimento. Sul computo della pena, l’accusa aveva ritenuto che fosse congrua una distinzione: ergastolo per chi ha premuto il grilletto, attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti per l’altro. Stesse responsabilità per entrambi, ha detto la sentenza di primo grado. Primo grado, dunque, vige la presunzione di non colpevolezza fino all'ultimo grado di giudizio.