Tumore al seno e all’utero: poca prevenzione
in Puglia: test solo per il 34% delle donne

Tumore al seno e all’utero: poca prevenzione in Puglia: test solo per il 34% delle donne
di Maddalena MONGIÒ
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Lunedì 28 Novembre 2016, 06:31 - Ultimo aggiornamento: 16:38
Pollice verso per l’attività di prevenzione dei tumori al seno e alla cervice uterina: i dati sullo screening nella Asl di Lecce sono sconfortanti e in generale la Puglia ha un primato negativo sotto questo profilo. Da una parte un servizio che non funziona al meglio, dall’altra un pregiudizio culturale delle donne e la resistenza a esporre il proprio corpo, specie per le donne più anziane.

I dati, riferiti al 2015, sono stati comunicati dalla Regione al ministero e parlano chiaro. Per lo screening mammografico, a fronte di un target di 110.260 donne da sottoporre a mammografia, ne sono state invitate 38.352 pari al 34,78 per cento di quante si sarebbero dovute sottoporre all’esame diagnostico. E non solo. A fronte di una percentuale non esaltante c’è poi un altro dato: solo il 58,15 per cento delle 38.352 invitate dalla Asl per la mammografia ha deciso di farlo.

La stessa Regione ammette, nella relazione inviata a Roma, la sua limitata capacità di proposta rispetto al programma di prevenzione per gli screening oncologici. D’altra parte la migliore perfomance, tra tutte le Asl pugliesi, è della Asl di Taranto che comunque ha invitato meno del 70 per cento delle donne che avrebbero dovuto essere sottoposte a mammografia.
 
Con lo screening per la prevenzione dei tumori della cervice uterina sale il numero delle donne salentine chiamate a fare il pap test (67,42 per cento su 223.910 da chiamare), ma di queste solo il 31,15 per cento ha deciso di aderire al programma. E qui incide il fatto che le donne preferiscono rivolgersi al loro ginecologo di fiducia piuttosto che a un medico sconosciuto.
La Regione intende arrivare al 100 per cento del target, nel giro di un paio d’anni, ma intanto si combatte con la carenza di personale che mette in ginocchio il servizio e sull’assenza di campagne di sensibilizzazione.

«C’è un problema strutturale – afferma Giammarco Surico, direttore del reparto di Oncologia del “Vito Fazzi” di Lecce –, ma nella mia esperienza noto che c’è ancora un problema culturale. Vediamo diversi casi di neoplasie mammarie in fase avanzata e quando chiediamo alle pazienti se si sono sottoposte a controlli le donne affermano di non aver fatto tutti i controlli che sono previsti per la prevenzione. La partita sui tumori si giova dell’innovazione terapeutica, ma soprattutto della prevenzione. Le donne, dai 40 anni in poi, non devono sottrarsi al controllo annuale, anche se ritengo che la fascia d’età debba essere abbassata visto l’incremento di queste patologie. Il cancro della mammella è curabile in fase iniziale e conosciamo molto della biologia della cellula tumorale mammaria che ci consente di aggredire la malattia con la cura più appropriata: chemioterapia, radioterapia, terapia biologica».

Da una parte le resistenze delle donne, dall’altra le risorse che sulla prevenzione sono più risicate. «L’implementazione della prevenzione è un risparmio reale sui costi della sanità – puntualizza Surico ribaltando il punto di vista – e la prevenzione primaria passa attraverso gli stili di vita: non bastano gli esami strumentali, servono alimentazione corretta ed esercizio fisico corretto». E poi c’è l’inquinamento. «La salubrità dell’ambiente ha il suo peso – afferma Surico – per questo sto con Emiliano nella battaglia per la decarbonizzazione. Prevenire è una delle mission che ci proponiamo come unità operativa e facciamo anche campagne di sensibilizzazione con conferenze nei centri cittadini della provincia. I dati sugli screening indicano un gap culturale e strutturale e su questo si devono interrogare i decisori politici perché c’è un abbassamento della soglia di vigilanza, non solo delle Regioni, ma anche del Governo che deve mettere risorse per la prevenzione».

E sui farmaci biologici che fanno schizzare la spesa farmaceutica Surico non ha dubbi: «Il costo del farmaco biologico è relativo rispetto ai vantaggi in termini di guarigione e risposta nei paziente in fase avanzata. Abbiamo una mortalità minore che giustifica l’uso di questi farmaci. Qui non è una questione di scelte personali, ma di riscontro scientifico».
 
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