Omicidio Manca del 1999: tre custodie cautelari in carcere

Omicidio Manca del 1999: tre custodie cautelari in carcere
di Erasmo MARINAZZO
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Mercoledì 3 Gennaio 2018, 13:23 - Ultimo aggiornamento: 23:45
Ammazzato a 21 anni perché non si volle piegare alle logiche del clan mafioso all’epoca dominante su Lizzanello. Il ribelle. L’attabrighe. Quel Gabriele Manca che sbandierava gli atti del processo che lo accusavano di lesioni per il colpo di coltello con cui aveva ferito al volto Omar Marchello, ritenuto un referente della Sacra corona unita. Allo scopo - questa la ricostruzione dell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia e dei carabinieri del Ros che ha visto ieri ha visto finire in carcere con l’accusa di omicidio volontario in concorso, aggravato dalla premeditazione e dai motivi futili lo stesso Marchello, 39 anni, il 44 leccese Carmine Mazzotta ed il 53enne di Cavallino Giuseppino Mero- di delegittimare Marchello dimostrando, carte alla mano, che lo avesse denunciato. E dunque, per appiccicargli addosso quello che la criminalità considera il peggiore marchio: il marchio di infame.
Pagò con la vita, Manca, la sfida lanciata a anche a colpi di stecca da bigliardo nelle gambe di Marchello. Era il 17 marzo del 1999. Dalle 17.30 in poi si persero le tracce di quel ragazzo che le carte dell’inchiesta indicano come uno spacciatore di droga che non voleva rispettare il monopolio del clan.
Il corpo di Gabriele Manca venne ritrovato il 4 aprile nelle campagne fra Lizzanello e la frazione di Merine. Erano ancora gli anni in cui la Sacra corona unita non faceva sconti a nessuno. E non solo un affronto, ma anche il rifiuto di sottoporsi alla suddivisione delle zone di spaccio o di pagare il “pizzo” si risolveva gran parte delle volte con il sangue. I blitz, i processi, le confische dei patrimoni e la prevenzione di quei fenomeni criminali considerati dalla Scu trampolino di lancio, ci consegnano ormai da quasi 15 anni un Salento quasi del tutto estraneo agli omicidi di mafia.
Allora era diverso. Ed a svelare un delitto irrisolto, uno dei “cold case” della Procura salentina, è stata un’inchiesta che ha messo insieme una serie di indizi. Ha messo - questo l’orientamento del giudice per le indagini preliminari, Alcide Maritati, che ha emesso le ordinanze di custodia cautelare - indizi con altrettanti riscontri: dagli alibi ritenuti falsi di Omar Marchello e di Giuseppino Mero.
Alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, fra i quali di Alessandro Verardi, ex reggente del clan di Merine, Lizzanello, Cavallino e di altri paesi vicini. Tutta una serie di dichiarazioni raccolte fra gente comune. Circostanza - quest’ultima - che consegna un Salento scevro dall’omertà delle terre di mafia. Ed anche una minaccia che Carmine Mazzotta avrebbe rivolto in tempi recenti, ad un ragazzo testimone di un litigio: se non tiene la bocca chiusa farai la stessa fine di Gabriele Manca.
I fatti che dovranno essere vagliati in seguito nelle aule del Tribunale, indicano il motivo scatenante dell’omicidio nella decisione di Manca di rendere pubblici gli atti del processo che pochi giorni dopo avrebbe preso il via ed avrebbe svelato che Omar Marchello lo avrebbe denunciato per la coltellata ricevuta in faccia il 13 gennaio del 1997 al culmine di un litigio che sarebbe scoppiato anche quella volta per lo spaccio di stupefacenti. In seguito Manca avrebbe colpito nelle gambe Marchello con la stecca di biliardo, in un tentativo di conciliazione. Inoltre avrebbe malmenato un pusher del clan sorpreso a spacciare in un locale che avrebbe considerato di sua pertinenza.
Le indagini condotto dal procuratore aggiunto Antonio De Donno prima della promozione a capo della Procura di Brindisi, sostengono che Mero avrebbe accompagnato Manca in campagna con l’inganno, contando sulla loro amicizia. Ad attenderlo ci sarebbero stati Omar Marchello, Carmine Mazzotta e P.M, 39 anni, andato via da Lizzanello e da quei contesti da diversi anni e per il quale il giudice non ha ritenuto di applicare la misura cautelare. A sparare sarebbe stato Mazzotta. Alle spalle, nella corsa disperata dalla morte. Quattro colpi.
Se ne parlerà ancora. A cominciare dagli interrogatori di garanzia di domani, alla presenza degli avvocati difensori Giancarlo Dei lazzaretti, Umberto Leo, Fulvio Pedone ed Angelica Angelini.
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