Niente revoca dei sigilli: il Twiga resta sotto sequestro

Niente revoca dei sigilli: il Twiga resta sotto sequestro
di Alessandro CELLINI
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Sabato 27 Maggio 2017, 12:25 - Ultimo aggiornamento: 28 Maggio, 18:07
Hanno deciso i giudici del Tribunale del Riesame, deludendo così le aspettative della cordata di imprenditori che, attraverso i propri legali, avevano chiesto il dissequestro. Niente da fare, dunque: il collegio di giudici (presidente Maria Pia Verderosa, relatore Antonio Gatto, a latere Anna Paola Capano) hanno ritenuto legittimo il provvedimento disposto dalla Procura di Lecce, valutando invece negativamente le memorie difensive presentate dagli avvocati Antonio De Mauro e Adriano Tolomeo, per conto di uno dei due indagati, l’imprenditore Mimmo De Santis. Al quale resta ora un’ultima carta da giocare: il ricorso in Cassazione. Solo la Suprema corte, infatti, può ribaltare in questo momento il verdetto del Riesame.
La decisione è giunta ieri mattina, dopo che venerdì era stato discusso il caso, con l’intervento dei legali della difesa e del pubblico ministero Antonio Negro, titolare del fascicolo d’indagine. Da un lato, il collegio difensivo aveva insistito sull’illegittimità del sequestro probatorio, osservando come non sussistessero le ipotesi di reato formulate dalla Procura; dall’altro, il pm Negro ha ovviamente rimarcato la validità del suo provvedimento, auspicando la conferma. Lo stesso magistrato, nel frattempo, ha affidato a un consulente tecnico l’incarico di formulare un parere sullo stato dei luoghi e sugli eventuali abusi commessi. Sembra ormai sfumare, dunque, la possibilità che ai primi di giugno il Twiga possa aprire i battenti, così come era stato pronosticato prima che si scatenasse sulla struttura a “marchio” Briatore il terremoto giudiziario.
I reati per cui procedono gli inquirenti sono quelli di abusivismo edilizio e occupazione abusiva del demanio marittimo. L’accusa è quella di aver realizzato strutture difformi da quanto previsto nel Piano regolatore, su un’area agricola. In particolare, la Procura vuole vederci chiaro sulla natura delle opere progettate e in parte realizzate in località “Cerra”, a Otranto. E cioè se bar, ristorante, servizi igienici, solarium con gazebo in legno e area ombreggiata di quasi 200 metri quadrati, nonché quattro vasche idromassaggio e una piscina di 20 metri per 10 siano effettivamente opere previste dalle norme. Oltre a De Santis, risulta indagato anche il progettista dei lavori, Pierpaolo Cariddi, ingegnere, fratello del sindaco di Otranto Luciano Cariddi e a sua volta candidato alla carica di primo cittadino.
Oggetto del contendere, come detto, è l’articolo 69 delle norme di attuazione del Piano regolatore, che riguarda il caso degli accessi al mare. Il punto è questo: quella norma consente solo la realizzazione di chioschi con bar e struttura per il noleggio di ombrelloni e sdraio, oppure permette opere più estese in termini di cubatura? Il tutto tenendo conto, tra l’altro, che quella zona è catalogata come “agricola”. Tra le altre questioni spinose, inoltre, anche quella che riguarda il rischio di crolli della falesia e il conseguente divieto di balneazione disposto dalla Capitaneria di porto nel 2013. Tutte questioni - è bene chiarirlo - sulle quali il Riesame non si è espresso nel merito: la decisione dei giudici ha riguardato finora solo la legittimità del sequestro disposto dalla Procura.

Intanto il verdetto ha generato le prime reazioni da parte del mondo politico salentino. Per Cristian Casili, consigliere regionale del Movimento 5 stelle, «La decisione del Tribunale del Riesame rafforza definitivamente la nostra tesi, ovvero che quello stabilimento fosse incompatibile con la natura dei luoghi. Scaricare le colpe su burocrazia e interpretazione delle norme - secondo Casili - non ha alcun senso in questo caso. Un’amministrazione attenta che vuole garantire gli investimenti dei privati dovrebbe dotarsi di strumenti urbanistici chiari e rispondenti alle reali esigenze del territorio, nel pieno rispetto delle risorse naturali e degli interessi della collettività. Tra le motivazioni che mi hanno spinto a denunciare per primo le incongruenze dei lavori con la morfologia di quel territorio - aggiunge il consigliere regionale - non c’è solo la tutela di uno dei tratti di costa più belli del litorale idruntino, ma anche la fragilità di una falesia che continua a crollare. Difatti quella scogliera è da tempo a rischio crolli. Per questo motivo un’ordinanza del 2013 della Capitaneria di Porto vieta, in quel tratto di costa, sia la balneazione sia la navigazione. È evidente, quindi che già lo schema di convenzione, che prevedeva la possibilità di intervenire con i servizi minimi per favorire gli accessi al mare, era in palese contrasto con le emergenze e criticità di una costa pericolosa per la pubblica incolumità. Ma come se non bastasse - conclude Casili - dai servizi minimi si è passati ad un intervento con l’edificazione di strutture importanti, che stava alterando in modo irreversibile la morfologia e il paesaggio di una zona tipizzata come agricola».
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