Natura e libertà, l’Australia che piace a 300 salentini

Natura e libertà, l’Australia che piace a 300 salentini
di Giorgia SALICANDRO
10 Minuti di Lettura
Lunedì 13 Giugno 2016, 21:01

Sterminato, cielo e terra a perdita d'occhio, oceanico. Nuovo, anzi, “nuovissimo”, con una storia occidentale di pochi secoli, che sembra pesare meno nel passato che non nelle possibilità del tempo a venire. I tratti che identificano l'Oceania nell'immaginario comune sono anche le ragioni principali per cui oggi vi si approda. L'economia galoppante, con tassi di crescita annui che superano il 3 % - nonostante il controverso rapporto di dipendenza commerciale con la Cina – è un fattore d'attrazione indiscusso per le vite precarie dei giovani di tutto il mondo. Eppure, se si domanda loro la ragione motrice della scelta, “natura” e “libertà” precedono, o al più affiancano, i concetti di “benessere” e “indipendenza economica”. Queste le parole chiave che ritornano anche nelle interviste dei salentini di stanza in Australia e Nuova Zelanda.
La capitale Sydney, Melbourne, Perth, Brisbane, Adelaide e Camberra: sono in tutto 292 i salentini della provincia di Lecce nelle sei città australiane considerate, 120 a Sydney, 88 a Melbourne, 19 a Perth, 13 a Canberra, 21 a Brisbane, 31 ad Adelaide. Se si sommano Brindisi e Taranto, se ne trovano 775. Inferiori i numeri della Nuova Zelanda: a Wellington, la capitale, ci sono 13 leccesi, 5 brindisini e 2 tarantini.
Vacanza e lavoro della durata di un anno, estensibile nel tempo: una vacanza irripetibile, a contatto con una natura davvero incontaminata, lavoro duro, sveglia alle cinque del mattino e la giornata trascorsa a raccogliere broccoli o patate nei campi. Altrettanti sono coloro che riescono ad ottenere un visto di lavoro trovando uno “sponsor” nel settore della “hospitality” e poi c'è chi resta. Ecco le loro storie.

Giovanni Trono
Sviluppatore di software



«Sono partito per amore ho trovato lavoro, sole e progresso»

Lecce, 2002: la storia di Giovani Trono comincia con un viaggio inverso, dall'Australia al Salento. Una giovane studentessa con un anno da spendere in Italia, lui una laurea in Economia aziendale all'Università di Modena e i primi difficili tentativi lavorativi. Si innamorano senza scampo, e lo prende come un segno. Due anni dopo è su un aereo diretto a Sydney. «In sostanza sono partito per stare con lei – spiega - ti confesso però che sarei partito comunque. Avevo appena finito un master in Change management all'Isufi e iniziato a lavoricchiare per una società di marketing: sapevo in cuor mio di non poter avere grosse speranze e, comunque, l’idea di fare un’esperienza in Australia aveva oramai preso il sopravvento».
Sydney, 2016, Giovanni ha 39 anni, una moglie – proprio lei, Naomi – due bambine, Eleonora di quattro e Nina di un anno, e una terza in arrivo. Il lavoro lo ha trovato nell’Associazione delle scuole private del Nuovo Galles del Sud, per la quale gestisce e sviluppa software e amministra il sito internet. Il resto del tempo è speso con le bambine, piccole gite fuori porta, lo zoo, il luna park o un museo. «Sydney pur essendo una grossa città è incredibilmente a misura d’uomo e di bambino – spiega - non ti dà il senso della metropoli caotica e piena di traffico. Quello che mi piace di più di questa città è il fatto che natura, sole, progresso, sicurezza e opportunità di lavoro si fondono in un connubio che ti fa vivere bene. Ci sono sicuramente molti più giovani armati di tanto entusiasmo e in cerca di lavoro rispetto ad una decina di anni fa: questo è stato reso possibile da un attenuamento delle politiche migratorie australiane che permettono agli under 30 di poter vivere e lavorare in Australia per un anno senza bisogno di un visto particolare».
Nel Salento la famiglia chiama, ma l'altra è ormai in Australia. «Quando sono partito dicevano tutti “nù torni cchiui”: avevano ragione. Tornerei, però dovrei trovare un lavoro stabile e soddisfacente e anche mia moglie deve sentirsi realizzata. Sarebbe un salto nel vuoto, e con una terza bimba in arrivo non penso che al momento sia di una decisione saggia».

Marco Maggiore
Commercialista



«Dopo il surf trip non ho resistito al richiamo di quelle onde»

Non poteva che essere sui generis la biografia di un commercialista che prende, parte e va a finire dall'altra parte del mondo. In quella di Marco Maggiore, 33 anni di Calimera, c'è una laurea in Filosofia, lo studio dello Hatha Yoga e un corso part time di Matematica, una volta arrivato sul continente, alla University of Queensland. Nel mezzo, anche studi e praticantato da commercialista in Irlanda che lo hanno messo sull'onda buona del lavoro in Australia. Oggi, a Brisbane, Marco è “senior management accountant” per Apa, colosso dei gasdotti australiani. Sistemi contabili, stesura e analisi dei bilanci e gestione aziendale sono le questioni con cui ha a che fare nella sua versione “in giacca e cravatta”. Poi, finito di lavorare, molla tutto, mette il costume e imbraccia una tavola da surf. Sì, perché c'è anche questo, nel curriculum “poco ortodosso” di un commercialista di stanza in Australia. Anzi, a dirla tutta il surf è venuto per primo. «Tutto cominciò come una vacanza surf, e ora vivo qui da sette anni» racconta.
A Brisbane, due milioni di abitanti nello Stato del Queensland, non si vive affatto male. Dove un tempo sorgeva la colonia penale di Moreton Bay, al centro della più antica area di insediamento europeo, oggi quel passato è storia e vi si arriva piuttosto, ironia della sorte, per appagare una necessità di “evasione”. «Brisbane è una città molto vivibile ed è sempre stata un porto di mare con tantissimi stranieri – spiega – è estesa in orizzontale, è molto spaziosa, dà il senso di un grande villaggio» in cui non mancano neppure gli animali selvatici: serpenti, opossum, pellicani, pappagalli, squaletti.
E davanti alle onde oceaniche, il ricordo del mare salentino non è proprio una fitta nel cuore, qualcosa di simile all'affetto che lega un figlio poco mammone ai suoi genitori: per loro esserci sempre, ma mai viverci insieme, scherza Marco. L'onda lunga della sua vita segue un'altra direzione. «Ho scelto l'Australia perché ha onde da favola, un clima caldo e la natura è incontaminata e signora. Da noi, se c'è, è soffocata all'interno di spazi ben definiti, qui domina».

Mattia Morelli
Guida turistica



«Mi sono sentito a casa a 13mila km da Lecce»

Benvenuti ad Alice Springs, paesotto di 30mila anime nel cuore del deserto australiano, Adelaide e Darwin le città più vicine, 1600 chilometri di distanza. Qui, se siete turisti italiani, francesi o spagnoli vi accoglierà Mattia Morelli, di Lecce, 29 anni, una laurea in Scienze politiche all'Università del Salento, una in Sociologia a Parigi e l'idea di cambiare il mondo fin da quando era ragazzino. Poi il mondo, quantomeno il suo, è riuscito a cambiarlo davvero: non con gli strumenti teorici della politica, ma con una scelta di vita radicale.
«La vita nella mia città sarebbe incomprensibile per qualunque europeo – spiega - intanto non esiste una città, ma una sorta di agglomerato urbano disperso nel nulla. Quasi tutti sono stranieri, anche gli australiani stessi: la colonizzazione dei bianchi inizia cento anni più tardi rispetto alla costa Est, quindi i proprietari di casa sono i locals, gli aborigeni, e non molti australiani vogliono viverci. Si trovano pace, tranquillità, lavoro e soldi, sì anche quelli, e tanta spiritualità e magia. Cose rare in Australia, patria del consumismo e della superficialità».
Tre anni fa arriva per imparare l'inglese, una “Working holiday” e la curiosità lo portano a percorrere il continente fino a quando non si ritrova “a casa”, lontano 13mila chilometri da Lecce. A dirla tutta, un po' di Salento ce l'ha nella stanza accanto, dato che il suo coinquilino è un conterraneo e, da poco, lo ha raggiunto anche sua sorella. La militanza politica invece è diventata un fuoristrada e una mappa del deserto: il più conosciuto Uluru, fino agli angoli più reconditi e, a breve, anche il Kakadu Park, il più grande parco naturale australiano. Mattia guida gli europei tra i canguri e nel frattempo parla loro dell'antica cultura aborigena. E, anche, del suo senso di dignità ritrovato. «Sono ritornato nel Salento più di un anno fa e mi sono sentito soffocare. Qui ho la possibilità di imparare sul lavoro, di avere la fiducia dei miei capi e di sentirmi utile alla comunità. Certo mi manca il cibo, la militanza politica e molti dei miei amici e la mia famiglia. Ma qui ho libertà, natura e indipendenza economica».

Raffaele Marte
Pizzaiolo



«Qui pagano il dovuto e posso anche viaggiare»

Pagare l'affitto, fare un paio di viaggi l'anno, mettere qualcosa da parte. Il resto lo fanno le montagne e il mare dall'aria irreale per l'intensità dei colori, e il richiamo della scoperta a cui un 32enne avventuroso non resta indifferente. Quando è partito per la nuova Zelanda Raffaele Martis, di Vernole, si lasciava alle spalle una stagione estiva in cui aveva lavorato tutti i giorni, senza nemmeno uno di pausa, con una paga minima. Aveva deciso che sarebbe stata l'ultima. «Una mattina mi sono svegliato e ho deciso che dovevo partire – racconta - ho fatto il visto “Whv”, Working Holiday Visa: in Italia non c'è più possibilità di crescita lavorativa, e poi avevo una gran voglia di viaggiare e conoscere altri Paesi, altre culture, e imparare l'inglese».
Certo, il paradosso è dietro l'angolo per un italiano all'estero, e vi si è imbattuto anche Raffaele: “Pizzeria Napoli” è il nome del locale per il quale lavora, italiani i proprietari, pizzaiolo (ma anche manager) il suo lavoro: «insomma, stereotipi a go go», scherza. E però, se proprio bisogna fare gli italiani all'estero, Raffaele preferisce essere salentino e a Wellington ha fatto importare il primitivo, ben esposto sulla lavagna del locale insieme alle specialità della casa.
Dopo il lavoro, invece, si adatta alla vita neozelandese e opta per un paio di birre in uno dei tanti pub della città o insieme ai coinquilini, un italiano della provincia di Pistoia e un brasiliano di San Paolo. Il giorno dopo si torna in pizzeria: non un lavoro da sogno, dice, ma un buon lavoro che gli permette di avere delle prospettive per il futuro. «Con il mio stipendio non divento ricco ma vivo bene. Nel mio settore, quello della hospitality, non ci sono duecento tipi di contratto, tutto è molto più semplice, ti danno tutto quello che ti è dovuto». Il prezzo da pagare, più che alto in assoluto, dipende dal temperamento. «Sia chiaro, qui non è tutto facile, ho conosciuto molta gente che è tornata in Italia dopo due mesi – si affretta a chiarire - la distanza da casa si sente, sono più di trenta ore di volo». Sarà: per lui, in ogni caso, non sono ancora così tante.

Veronika Maritati
Ballerina


«Tornerò per spiegare i sacrifici della danza»

Distanze a perdita d'occhio, rotte chilometriche, continenti: il movimento è condizione necessaria nella carriera di una ballerina professionista. Salti, glissade e piroette segnano lunghezze infinite lungo i palchi, gli aerei segnano quelle dei cieli fra teatro e teatro. Veronika Maritati aveva solo 12 anni quando lasciò Lecce per studiare alla scuola del San Carlo di Napoli, e da allora il suo Salento resta fermo in un cuore da bambina. Anche oggi che di anni ne ha 27 e fa parte del Royal New Zeeland Ballet, una delle più importanti compagnie al mondo per qualità e risorse. Un fermo immagine la ritrae elegante ninfa dallo sguardo malinconico, in un video girato fra i trulli pugliesi. Da Napoli a Roma e Firenze che era ancora adolescente, poi il cigno spicca il volo, Germania, Spagna, Russia dove lavora insieme ai due primi ballerini del teatro Bolshoj diretta da un altro italiano, Francesco Ventriglia. E proprio Ventriglia, da nuovo direttore della compagnia di Stato neozelandese, lo scorso gennaio la chiama con sé a Wellington. Un viaggio di tre giorni, «un po’ di sbandamento all’inizio, devo essere sincera – commenta - ma credo nel “carpe diem”». Diventare cigno o sirena avrebbe potuto essere un incantesimo possibile anche su altri palchi prestigiosi, ma la Nuova Zelanda ha in più una magia che si propaga anche fuori dal Saint James Theatre. «Qui di sera si incontrano sulla spiaggia i piccoli pinguini blu, e l’oceano è qualcosa di veramente immenso – racconta - quando andiamo in tournee ho l’opportunità di conoscere altri luoghi così diversi dai nostri». È anche questo a richiamare la bambina di un tempo, che sognava di essere una principessa in tutù ma avrà anche rimpianto, qualche volta, di non poter costruire castelli di sabbia. E la Nuova Zelanda sembra ricucire i sogni delle due Veronika. «Ovunque io vada le mie radici sono forti. Dedico i miei successi alla mia famiglia e li porto in alto con orgoglio da italiana e salentina. Un giorno tornerò e questa volta per restare, quando smetterò di ballare. Forse per spiegare alle nuove generazioni che la danza regala tante emozioni e soddisfazioni, ma non senza sacrifici».









 

© RIPRODUZIONE RISERVATA