«Schiavi nei campi». Chiesti 170 anni di carcere

«Schiavi nei campi». Chiesti 170 anni di carcere
di Erasmo MARINAZZO
4 Minuti di Lettura
Giovedì 22 Settembre 2016, 15:46 - Ultimo aggiornamento: 23 Settembre, 09:17
Quattro ore filate per affermare e confermare che i lavoratori che raccoglievano angurie e di pomodori della masseria Boncuri di Nardò furono trattati come schiavi per quattro stagioni estive consecutive, dal 2008 al 2011. E per chiedere, infine, pene fra i 7 ed i 14 anni per quasi 170 anni complessivi di carcere per i 16 imputati del processo nato dall’operazione “Sabr”. Fra questi ci sono anche sette imprenditori salentini. La pena più alta è stata chiesta per Pantaleo Latino: 14 anni. Nove anni, invece, per tutti gli altri imprenditori.

Non ha fatto sconti, il procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone, chiedendo pene equiparabili a quelle dei processi di criminalità organizzata. E non ha receduto di un passo: l’ipotesi di reato di riduzione in schiavitù, che tanto fece scalpore con il blitz del 22 maggio del 2012 con 22 arresti, è stata invocata anche ieri mattina nella requisitoria davanti alla Corte d’Assise (presidente Roberto Tanisi, a latere il giudice togato Francesca Mariano ed i giudici popolari). Nell’aula bunker diventata sede di questo processo per ospitare i braccianti costituitisi parte civile, il magistrato ha sostenuto l’accusa portante dell’inchiesta anche dopo che il Tribunale del Riesame l’aveva ritenuta insussistente. «Questo reato è andato evolvendosi sotto forme che fino al 1999-2000 non conoscevamo», l’incipit della requisitoria. «Le abbiamo conosciute quando ci siamo occupati degli scafisti che trasportavano merce umana preziosa: le prostitute. Perché continuo a contestare questo reato? Perché mi sono trovata davanti un ragazzo con segni di torture subite nei campi, chi aveva un panino e non riusciva a mangiarlo per la stanchezza, chi non aveva da mangiare. Questa è l’Italia, questo è il territorio di Nardò», ha sostenuto il magistrato rivolgendosi alla Corte. «Vi dovrete immedesimare in loro, nelle vittime, e non ignorare certe situazioni come fecero la polizia municipale di Nardò ed il sindaco che non volle costituirsi parte civile in questo processo (il riferimento è all’ex primo cittadino, l’avvocato Marcello Risi, ndr). Anche se in questo processo abbiamo dibattuto soprattutto della violenza psicologica, quella più difficile da dimostrare. Nel mio capo di imputazione troverete tutto questo, troverete ritmi sfiancanti, orari assurdi, impossibilità per i lavoratori di poter disporre della libertà di andare via. È vero tutto questo? Il processo ci ha consegnato tutto questo? Il Tribunale del Riesame sostenne che vi era il consenso dei lavoratori, che avessero la capacità di autodeterminazione».

Il magistrato ha introdotto nella discussione il tema della vulnerabilità che due anni fa riformò il reato di riduzione in schiavitù: la riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona. Cioè: “Una situazione in cui la persona in questione non ha altra scelta effettiva ed accettabile, se non cedere all'abuso di cui è vittima”.

Il vulnus del processo, l’ha definito l’aggiunto Mignone. Anche perché le pene invocate sono state calcolate sull’accusa di associazione a delinquere finalizzata al reclutamento, allo sfruttamento ed alla riduzione in schiavitù di cittadini extracomunitari. Quattordici anni sono stati chiesti per Pantaleo Latino con l’accusa di essere stato a capo dell’organizzazione accusata di aver reclutato gli extracomunitari «mantenuti in soggezione continuativa». Pene ancora più alte sono invocate per gli imputati stranieri, accusati a vario titolo di aver avuto funzioni di “caporali” e di controllori-guardiani dei lavoratori: Si torna in aula il 13 ottobre per le arringhe dei legali di parte civile, gli avvocati Maurizio Scardia, Viola Messa (legale di Jean Pierre Sagnet, i giovane camerunense lo studente universiario, sindacalista impegnato nella battaglia contro il caporalato, guidò la rivolta dei braccianti nell’estate del 2011), Anna Grazia Maraschio e Maria Argia Russo. Il 15 dicembre udienza che darà il via alle arringhe difensive degli avvocati Amilcare Tana, Giuseppe Bonsegna, Fabio Domenico Corvino, Salvatore Donadei, Isabel Orlando, Anna Silvia Sabato, Francesco Galluccio Mezio, Giuseppe Cozza, Vincenzo Blandolino, Antonio Romano, Antonio Luceri, Mario De Lorenzis, Vincenzo Perrone, Roberto De Mitri Aymone ed Antonio Falangone.



















 
© RIPRODUZIONE RISERVATA