Monsignor Seccia: «Più lavoro per i giovani e il gasdotto non mi convince»

Monsignor Seccia: «Più lavoro per i giovani e il gasdotto non mi convince»
di Vincenzo MARUCCIO
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Sabato 2 Dicembre 2017, 12:30 - Ultimo aggiornamento: 13:18

«Il mio programma è collaborare insieme perché la Chiesa diventi motivo di gioia, ma non scambiatelo per semplice allegria. Se ci saranno ingiustizie da denunciare, state certi che mi farò sentire». Monsignor Michele Seccia si allunga sul divanetto in una sala dell’Episcopio e basta poco per eliminare formalità di rito, muri e frasi di circostanza. Nuovo arcivescovo di Lecce dopo la nomina di settembre e ora l’insediamento. «Lasciate pure la porta aperta», dice a chi gli chiede se è il caso di ritagliarsi un po’ di privacy e si capisce subito che parlar diretto sarà il suo metodo. «A Teramo mi dicevano che talvolta ero troppo vigoroso. Non mi faccia apparire come uno che fa le prediche, ma la missione di un vescovo è anche quella di essere la voce del popolo». Primo appunto preso sul taccuino e anche ben sottolineato.
Monsignor Seccia, cominciamo da Lecce che da qualche giorno è la sua nuova “casa”: tutte queste chiese, tutto questo barocco, tutta questa fede scolpita sulla pietra. Che effetto le fa?
«È una città bellissima e affascinante, a cominciare da piazza Duomo e dal centro storico. Mi dicono che sia bello anche il resto del Salento, lo scoprirò. Ho cominciato a conoscere i leccesi anche...».
Non bastano pochi giorni per farsi un’idea.
«Accoglienti e generosi, e basta poco per capirlo. Io, di leccesi, ne ho conosciuti e sono stati una parte importante della mia vita. Monsignor Giuseppe Carata, un leccese, era arcivescovo di Trani quando ero un giovane studente alla Gregoriana di Roma e morì mio padre a Barletta, la mia città. Monsignor Carata, per certi aspetti, è stato il mio secondo padre. E poi ho conosciuto bene monsignor Cosmo Francesco Ruppi che qui ha fatto tantissimo. La sua lezione è importante».
A cosa si riferisce?
«Al suo dinamismo e alla sua capacità di mettersi totalmente al servizio della Chiesa e della sua crescita. Lo so quello che sta per dirmi: Ruppi rischiava sempre di apparire un tuttologo».
Ha lasciato la sua impronta e faceva anche il giornalista: lo sapeva?
«Ci teneva moltissimo. Ricordo il suo Vangelo ogni domenica a Telenorba. Le sembra poco portare la parola del Signore nelle case di tutte le famiglie del Salento e della Puglia con la televisione? E poi Ruppi ha fatto tantissimo per la formazione del clero, dei giovani seminaristi e dei futuri parroci».
Ha ricevuto il testimone da monsignor Domenico D’Ambrosio: che consegne vi siete lasciati?
«Le cose cominciate e da portare a termine, le opere che meritano una priorità. La Casa della Carità è una di queste: comincia da lì il mio viaggio, nelle prossime ore, in città. Stare accanto ai poveri è un dovere a cui assolvere. Lo dice il Vangelo. Poi, certo, dopo l’insediamento, ogni vescovo porta la sua visione».
Quale sarà la sua?
«Costruire una Chiesa dove, come dice il mio motto pastorale “Adiutor gaudii vestri”, io possa essere collaboratore della gioia della comunità di fedeli. La fede indica una strada che non è individuale. Nel mio programma c’è una comunità che percorre le strade del Vangelo senza erigere muri e steccati e gioire insieme vuol dire proprio mettersi al servizio della Chiesa soprattutto quando lo smarrimento, nei periodi di crisi, può essere all’ordine del giorno. La mia diocesi dovrà essere più missionaria, aprirsi agli altri, confrontarsi con i disagi. La strada giusta non è solo quella di badare solo a sè».
Lei, nel tour in città, porterà con sé i giovani: perché?
«È da loro che si comincia. Quello che abbiamo concluso nei mesi scorsi non era il Sinodo per i giovani, ma il Sinodo dei giovani. Ascoltarli è la chiave per capirli, non imporre la nostra visione. Certo, i giovani non possono cambiare la fede, sovvertirla, stravolgerla. Con loro e con le loro esigenze questa fede può essere condivisa. E scoprire il loro mondo è essenziale, non se ne può fare a meno. Io lo farò in piazzetta Santa Chiara, mi hanno detto che è il centro del loro mondo. Vediamo cosa avranno da dirci, come dice Papa Francesco».
Ecco, Papa Francesco: dicono che oggi sia il vero, unico politico a cui è concesso ascolto. Basta questo per riportare la Chiesa al centro al mondo?
«Papa Francesco ha vissuto nell’Argentina del dittatore Videla e con la sua formazione da gesuita ha coltivato un’azione missionaria. Ha vissuto sulla propria pelle le difficoltà della vita e la credibilità è la sua grande forza. Non basta, ovviamente, decantarne le virtù comunicative e poi, svoltato l’angolo, come si dice in questi casi, fare il contrario. Il Papa, con le sue aperture e il suo interventismo, va seguito concretamente e non solo applaudito».
Un po’ interventista, in Abruzzo, è considerato anche lei dopo la trincea vissuta nel periodo terribile del terremoto...
«Non voglio appellativi, non mettetemi aggettivi. Parlo con franchezza quando le situazioni lo richiedono e non mi sono mai nascosto. Come quando ho chiesto che, sul fronte dell’assistenza sanitaria ai malati e ai disabili, le iniziative pubbliche e quelle private rispondessero all’esigenza primaria di curare le persone e non ad altre logiche. L’ho detto ad un tavolo ufficiale, chiamando tutti alle loro responsabilità, e mi è stata data ragione».
Sul lavoro che non c’è, vera piaga del Salento, verranno in tanti a chiederle una mano.
«Le iniziative della Chiesa di sostegno alla microimpresa e ad altre attività occupazionali proseguiranno con il massimo impegno, ma sia chiaro che non possiamo sostituirci a chi il lavoro dovrebbe crearlo o creare le condizioni perché ci sia».
Di chi sta parlando? Sindacati? Politici?
«Ho vissuto l’esperienza del salvataggio di alcune aziende importanti: era stato proposto, come condizione iniziale di trattativa, il licenziamento di una parte dei dipendenti. Una cinquantina di operai a casa e salvi gli altri. Meglio soluzioni di solidarietà con riduzione di stipendio per tutti e nessun disoccupato. L’ho detto io. Sindacati e politici, pur di salvare l’azienda, sono rimasti in silenzio. Ecco, se la riterrò un’ingiustizia, la dirò anche qui a Lecce».
Ma lei ai politici ci crede?
«Bisogna crederci perché, come diceva Paolo VI, la politica è la forma più alta della carità. Se, aggiungo io, l’obiettivo è quello del bene comune e non l’interesse personale. Lo ricorderò quando ce ne sarà bisogno, ma, lo ripeto, non fatemi passare per uno che fa la predica».
Papa Francesco con la sua enciclica sull’ecologia ha riacceso i riflettori sul tema della tutela della natura: avrà letto che qui nel Salento, sull’opera del gasdotto, si incrociano le ragioni del progresso e le ragioni dell’ambiente.
«Il territorio va tutelato e l’ambiente è un valore da cui non si può prescindere. Ho vissuto da vicino la tragedia legata all’esplosione di una conduttura per non essere preoccupato di quello che accade».
Boccia il gasdotto?
“Non mi convince, ma ne so troppo poco per essere così netto. Non voglio fare il tuttologo. Conosco le battaglie anti-trivelle in Abruzzo: il mare Adriatico, che poi è lo stesso nel Salento, è come una bacinella e non un oceano. Starei ben attento prima di realizzare opere che possano deturparlo».
Ma il progresso non porta lavoro?
«Questo sì.

Spero solo che non siano solo le multinazionali ad aver bisogno di grandi opere. Spero che l’interesse economico non prevalga sul bene comune di un territorio».

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