Maxi evasione fiscale: sigilli a beni e conti di un’impresa di pulizia

Maxi evasione fiscale: sigilli a beni e conti di un’impresa di pulizia
di Erasmo MARINAZZO
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Venerdì 24 Febbraio 2017, 13:47 - Ultimo aggiornamento: 13:48
Centinaia di fatture false per dimostrare costi che mai avrebbe sopportato. Con lo scopo - dice questo l’accusa - di abbattere i versamenti all’erario dell’Iva. Evasione fiscale è l’ipotesi di reato contestata al titolare di una delle imprese di pulizia più grandi del Salento: 380mila euro in tre anni. E per garantire allo Stato il recupero di almeno una parte di quella somma, sono stati sequestrati un immobile ed un conto corrente al titolare D.L., 40 anni.
Un sequestro per equivalente, quello accordato dal giudice per le indagini preliminari Cinzia Vergine al pubblico ministero Giovanni Gagliotta (del pool “reati finanziari”). Quasi contestualmente lo stesso pubblico ministero ha chiuso le indagini condotte con la Guardia di finanza ed avviate sullo stralcio di un’inchiesta su una persona finita altre volte nei guai con la giustizia per emissioni di fatture false.
La verifica sulla documentazione trovata a quell’indagato, misero in luce alcuni rapporti con il titolare dell’impresa di pulizie di Lecce. Ed una volta messe le mani su quella contabilità, i sospetti degli investigatori si soffermarono su diverse fatture di aziende risultate poi inesistenti o di altre che nulla a avevano a che fare con materiali e servizi di cui avrebbe potuto beneficiare un’impresa di pulizie.
Da qui il controllo dei versamenti dell’Iva. Ed è stato così individuato - siamo sempre sul fronte dell’accusa - l’impiego sistematico di fatture false per ridurre gli importi spettanti all’erario.
Tre gli anni fiscali contestati dagli inquirenti sia nel decreto di sequestro per equivalente che nell’avviso di conclusione delle indagini: 104mila 264 euro per il 2011, grazie a 34 fatture ritenute false. Per il 2012 131mila 277 euro, in conseguenza delle riduzioni ottenute presentando 142 fatture poi contestate come non attinenti all’attività o come false. Ed infine, nel 2013 l’evasione dell’Iva sarebbe ammontata a 144mila 461 euro, con “pezze giustificative” consistenti in 153 fatture, anche queste false, sostengono le carte dell’inchiesta.
Quali giustificazioni ha presentato il titolare dell’impresa di pulizia ai finanzieri? Nessuna, ha ricordato il giudice Vergine: “Pur espressamente notiziata e richiesta sul punto”.
Sulla base della ricostruzione fatta dall’accusa sugli escamotage per ridurre il gettito dell’Iva, ed in assenza di altre spiegazioni, il giudice ha ritenuto necessario provvedere al sequestro: “Al cospetto della chiarezza ed indiscutibilità dell’accertamento, attesa la documentazioni in atti, non può essere negata l’applicabilità del sequestro e, neppure può essere revocata in dubbio l’applicabilità della confisca per equivalente», ha scritto il giudice Vergine nel decreto. «Infatti il sequestro mira a consentire la futura confisca per equivalente e costituisce, quindi, lo strumenti anticipatorio della tutela prevista dalla confisca di una somma corrispondente al danno arrecato alla cosa pubblica».
Il caso passa ora al vaglio di una terna di giudici: se ci siano o meno i presupposti per applicare il sequestro per equivalente, lo stabilirà il Tribunale del Riesame. L’imprenditore ha presentato ricorso con l’avvocato Umberto Leo.
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