Lo strillone che non strilla, segno del tempo che passa

Lo strillone che non strilla, segno del tempo che passa
di Pasquale CHIRIVI'
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Giovedì 27 Aprile 2017, 20:05 - Ultimo aggiornamento: 20:17
Chiunque abbia un minimo di consuetudine con Lecce sulla direttrice statale 101, la Lecce–Gallipoli per intenderci, non può non conoscerlo. È lì da sempre, per quanto io ricordi. Lui, l’uomo dei giornali, simbolo d’un tempo passato nel quale le informazioni venivano veicolate in forma cartacea, come ancora oggi avviene ma non più in modo esclusivo.
Fa venire in mente quei vecchi filmoni americani in bianco e nero dove ragazzini da strada sventolavano il New York Times fresco di rotativa, del quale intuivi la fragranza d’inchiostro misto cellulosa, coi passanti in loden e cappello a tesa larga che acquistavano attirati da quella che oggi chiameremmo “Ultim’ora”, strillata a pieni polmoni. Pochi cents, dei quali s’intuiva che allo strillone sarebbe rimasta una misera percentuale, ma sempre meglio che delinquere. Egli, l’uomo dei giornali, non è un ragazzino: è una di quelle figure iconizzate, che non immagineresti mai potesse essere stato diverso da come l’hai sempre visto, nato al solo scopo di vendere i giornali, così come dei conduttori dei vecchi TG della RAI non avresti mai immaginato potessero avere delle gambe e un corpo sotto la scrivania: icone stampate nella nostra mente, immutabili nel tempo.
Me lo ricordo così da sempre: relativamente basso e tarchiato, viso solcato da rughe color madre terra, espressione dominata da uno sguardo indefinibile, nel quale s’indovina un disincanto di lungo corso, braccio proteso verso il flusso del traffico a proporre il Quotidiano, patrimonio comune di tutti i salentini, qualunque cosa se ne pensi sul piano dei contenuti o degli orientamenti. Egli è lì, immobile come una statua e, al contrario degli strilloni su evocati, non strilla affatto, è muto come un pesce; ma è il suo sguardo che parla.
Non ha bisogno di dire l’ovvio: è evidente che è lì per vendere il giornale, ma il suo sguardo è come una muta domanda: chi sei tu che passi veloce con la tua auto, spesso senza degnarmi di uno sguardo? Dove vai? Cos’hai di così urgente da fare per non avere il tempo di fermarti ad acquistare una copia? Hai mai letto un quotidiano? Se hai la ventura di fermarti al semaforo proprio alla sua altezza, il suo sguardo ti inchioda alle tue responsabilità: devi decidere se sostenerlo o evitarlo. Nel primo caso sai che non puoi non acquistare una copia, anche se in quel momento la lettura del giornale non è una tua priorità; nel secondo devi inventarti un’improvvisa emergenza in auto, tipo chiamata urgente sul cellulare o documento che va a finire sotto il sedile o altro; insomma, qualcosa che ti permetta di non doverlo guardare negli occhi, altrimenti sei fritto.
In quel frangente, infatti, l’icona perde la sua impersonalità e si fa uomo; così che tu ti renda conto che quella figura ha un nome e un cognome, probabilmente una famiglia, sicuramente una storia personale della quale non sai niente e continuerai a non saper niente, tuttavia un effimero apostrofo nella tua giornata di pendolare seriale o occasionale.
Poi un giorno, tra moltissimi anni, ti fermerai ancora una volta a quel semaforo e ti renderai conto, improvvisamente, che è da un bel po’ che non vedi lo strillone che non strilla. E ti chiederai cosa ne è stato di lui, con una muta domanda sulle tue labbra: “Chissà come si chiamava l’uomo dei giornali?”.
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