Strigliata del commissario: «Unesco, persi 10 anni Non sapete fare squadra»

Strigliata del commissario: «Unesco, persi 10 anni Non sapete fare squadra»
di Francesca Sozzo
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Mercoledì 25 Novembre 2015, 12:18 - Ultimo aggiornamento: 12:21
Il Salento e il barocco intesi come paesaggio, come pietra e soprattutto come gente che vi ci abita.

Era questo che si sarebbe dovuto comprendere dieci anni fa e indirizzare gli studi in questa direzione. Era questa la lingua che si sarebbe dovuta parlare, tutti insieme per non sprecare dieci anni da quella pre-candidatura che ha visto il Salento e il Barocco leccese finire nella lista propositiva italiana - 40 in tutto le proposte - per ambire a Patrimonio dell’Unesco.



La strigliata arriva da Tatiana Kirova docente dell’Università di Torino e Membro permanente del CIVVIH – ICOMOS dell’Unesco, la Commissione che si occupa della valutazione della candidatura dei siti, ieri a Lecce in occasione dell’incontro che si terrà oggi pomeriggio alle Officine Cantelmo organizzato da Lions Maglie e Centro Studi Tekné. «La pre-candidatura coniugava due cose: Barocco leccese e paesaggio del Salento, all’ora non si era capito che barocco leccese significava anche paesaggio dando vita a studi, gruppi di lavoro, relazioni delle università. Ma ognuno ha parlato la sua lingua. Ma quel che è peggio - ha sottolineato Kirova - è che in questo territorio non siamo stati capaci di fare filiera».



Si sarebbe dovuto dunque puntare il tutto per tutto su quelle che sono le peculiarità del territorio, le sue radici, la sua storia, perfino la sua pietra che non significa, ha ribadito il commissario, costruire altri immobili, ma significa partire dallo scalpellino custode di un’arte che ha dato vita al territorio: «Dare insomma continuità alla storia che dalla pietra arriva fino a noi».



Dunque il Salento tutto ha già perso un’occasione e «sprecato dieci anni perché ci sono stati falsi profeti - ha proseguito Kirova - e soprattutto ci sono stati tanti soldi, intorno al 2005-2006 per la realizzazione di piani di gestione per siti candidati e non. Si sono formate società di servizio e affidato progetti anche da 500mila euro, ma quando poi arrivava qualche boy scout a spiegare come organizzarsi non c’erano più finanziamenti».



Dunque oggi si devono accorciare i tempi e andare dritti dritti alla meta senza perdere altro tempo. Il primo tassello da mettere a posto è proprio il piano di gestione che parte dalla conoscenza di ciò che si ha a disposizione, «poi si passa alla perimetrazione del territorio e a come vogliamo gestirlo». Ma il punto fondamentale è un altro ancora. Tutto questo lavoro è nullo se non gli si darà una continuità. O meglio: «Questo processo di candidatura non deve durare un anno - ha sottolineato il commissario Onu - ma il processo dura tutta la vita. Per questo è necessario presentare progetti strategici, progetti culturali che creino sviluppo».



La ricetta? Non è certo di quelle semplici perché secondo Tatiana Kirova - esperto Unesco dal 1980 per la valutazione delle candidature nell’iscrizione alla Lista del Patrimonio Mondiale dal 1985 - il processo di candidatura «richiede la maturità della comunità insediata sul proprio territorio». E poi è necessario mettere in campo il concetto di sviluppo sostenibile. «L’Onu dal 2015 sostiene che sviluppo sostenibile non sia una parola vana. Quello che è sustainable development e che purtroppo molti non possono ancora capire perché non ci sono esempi pratici, vuol dire coniugare paesaggi con la gente che vive sul proprio territorio. Cos’è questo paesaggio? Siamo noi, perché noi lo abbiamo forgiato e voi avete una grossa fortuna qua: l’epicentro di quello che serve».



Il fenomeno degli ulivi secolari, per esempio «di cui mi sono occupata dieci anni fa con una petizione inviata al presidente della Repubblica il quale ha giustamente disse: “se lo volete inserire nel patrimonio dell’Unesco, non si deve inserire solo la categoria ma l’integrazione del territorio”». Territorio dunque, questa la parola d’ordine e collaborazione tra enti, comuni, associazioni che mettono in pratica le «best practice, pratiche virtuose che mirano allo sviluppo del territorio. La candidatura è solo il primo step. Bisogna guardare oltre altrimenti restiamo al palo come è capitato per altre zone italiane».
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