Il chiarimento di Briatore dopo la bufera:
«Il turismo di qualità non mina le bellezze della Puglia»

Il chiarimento di Briatore dopo la bufera: «Il turismo di qualità non mina le bellezze della Puglia»
di Francesco G. GIOFFREDI
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Giovedì 22 Settembre 2016, 10:22 - Ultimo aggiornamento: 23 Settembre, 16:41

Nella bufera mediatica, che è poi una leva del marketing, Flavio Briatore si districa con scafata disinvoltura. Però forse nemmeno lui, imprenditore del turismo di lusso, s’aspettava una sventagliata di critiche così infuocate. Squilla il telefono, risponde da Montecarlo: poche ore prima era a Mykonos «sempre per lavoro», lunedì invece a Otranto elencava la ricetta per liberare le briglie del turismo salentino. Con un monito: «Qui solo alberghetti, i ricchi così non vengono». Ora insiste sul concetto, quasi una cometa o un prototipo, del «turismo di un certo tipo». Intanto lungo la costa idruntina, il prossimo anno, nascerà la dependance salentina del Twiga beach club, uno dei marchi top class di Briatore. «Chapeau agli imprenditori salentini che investono», ma «non capisco tutto questo clamore per quello che ho detto».

Il coro di protesta è quasi unanime.
«Lunedì sera abbiamo ascoltato tutti gli interventi, concentrati soprattutto sul turismo mordi-e-fuggi, o per esempio sul problema dei rifiuti abbandonati lungo le strade dai turisti. Da quanto è emerso, il turismo nel Salento non lascia sul territorio cifre importanti: questo ho sentito dagli interventi dei sindaci di Lecce e Otranto».

La sua analisi è stata netta. Quasi una stroncatura di quel sistema-turismo costruito negli anni dalla Regione. Eccessivo?
«Dico solo che il Salento deve migliorare la qualità del turista. Per alzare l’asticella occorrono strutture adeguate a un certo tipo di turismo. Abbiamo il mare, le distese di ulivi? Benissimo, questo c’è già ed è ciò che offriamo. Ma puntando solo su questo tipo di proposta resta esclusivamente il turismo mordi-e-fuggi. In realtà però mi sembra che l’intenzione di tutti sia un’altra, a cominciare da servizi e infrastrutture».

Ma servizi e infrastrutture prescindono dalla tipologia del turista: dovrebbero essere precondizioni generali.
«Promuovere un certo tipo di turismo richiede investimenti per infrastrutture, strade, porti. Otranto ha impiegato nove anni per avere l’autorizzazione per il porto: è qualcosa che mi spaventa, il porto è la prima cosa che una località di mare dovrebbe avere. L’altra sera ho fatto l’esempio dei posti barca di cui dispone la Francia: 200mila in più dell’Italia, che ha il doppio dei chilometri di costa».

C’è però un problema di modello: il turismo in Puglia è stato costruito come un bene “esperenziale”, in cui i luoghi e le strutture ricettive hanno un’anima, un’identità, e ritmi lenti, cultura ed enogastronomia sono gli asset principali. Non c’è il rischio, promuovendo un «turismo di un certo tipo», di oscurare quel paradigma?
«No. Le faccio un esempio: in Puglia abbiamo Borgo Egnazia, a Fasano, che ha prezzi dello stesso livello di un hotel Four Seasons, ma è in grado di fornire un concetto di ricettività straordinario, con albergo, campi da golf, accesso alla spiaggia, eccellenza di servizi. È evidente che un certo di tipo di turismo arriva in Puglia se c’è una struttura organizzata: se si vuole far crescere il livello del turista, deve aumentare quello delle strutture. Tutto qui».

Però Borgo Egnazia nasce in armonia col territorio circostante, senza violarne l’equilibrio. E non sempre è possibile, soprattutto a ridosso del mare.
«Quando la gente viene in Puglia è attratta dal mare, soprattutto. Per il turismo culturale si scelgono altre mete, a cominciare da Roma e Firenze. Ma lo ribadisco: l’albergo non dev’essere sugli scogli, ci mancherebbe, ma in qualunque zona nelle vicinanze del mare. E torno al tema delle infrastrutture: quando un turista atterra a Nizza, in un quarto d’ora è a Caen o a Montecarlo, per questo tra il Salento e Fasano ci vuole un aeroporto che sia a 20 minuti, non a due ore d’auto. Ecco perché sono fondamentali le infrastrutture per alzare l’asticella: aeroporti, porti, questi ultimi per esempio non comportano ingorghi d’auto e caos, con la differenza che il turista in barca ha più possibilità di spendere del turista in zainetto».

Turista in barca e in zainetto possono convivere sotto lo stesso cielo?
«Certo, nel modo più assoluto. I due modelli di turismo non si annullano. Ma dico di più e torno sulla questione porti: a Otranto intorno al porto nasceranno altre attività, aziende. Si creeranno tante opportunità, un indotto. Il turista di un certo tipo poi sceglierà Otranto, attraverso il circuito web, perché magari individua un Hotel Four Seasons e sa che a quella offerta alberghiera è collegata una serie di servizi. Ma il Four Seasons può benissimo coesistere con la masseria, l’albergo e il b&b. Anche per questo tipo di offerta c’è però un problema di servizi: mi dicono ci sia difficoltà a trovare dipendenti che parlino lingue straniere e dotati di adeguata professionalità».

Lei sostiene che chi viene in Puglia è calamitato dal mare, non dalla cultura. Ma ha senso scindere così drasticamente ricchezza del turista e cultura? Nei decenni scorsi Leonardo Mondadori, giusto per fare un esempio, ha creduto nella Puglia delle masserie, degli ulivi, delle radici: anche il turista di alto target si identifica in quel modello.
«Considero quel modello di turismo un fatto consolidato e super positivo. Ma non c’è solo quello: il turista viene qui anche per il mare e per poter prendere una barca e trovare un’ampia offerta. Dobbiamo focalizzarci sul turismo in grado di lasciare ricchezza: per questo insisto sugli hotel e non sulle ville, perché i primi generano posti di lavoro e permettono di avere un turismo variegato».


La Puglia ha strumenti di programmazione paesaggistica molto vincolanti: è un limite, nella sua ottica?
«Le grandi società alberghiere ricorrono ai migliori architetti del mondo, e la principale preoccupazione con investimenti di questo tipo è non avere impatto negativo sull’ambiente e sul paesaggio, sforzandosi invece di migliorarlo. E poi le istituzioni sono nelle condizioni di valutare se e come approvare determinate strutture. Ma a tutto questo si affianca un problema di promozione».

Poca? Sfilacciata?
«Dovrebbe essere accentrata a livello nazionale, con un ministero sotto la diretta responsabilità del premier che aiuta le Regioni. Ci vuole un progetto unico, non è possibile che ognuno spenda le risorse come gli pare».

Ne ha parlato anche Renzi in Fiera del Levante, peraltro invitando la Puglia a ispirarsi ai numeri delle Baleari. Condivide?
«Ha ragione: le dico solo che alle Baleari atterrano 45 compagnie aeree diverse. E hanno alberghi per tutti. In Italia dovrebbe esserci turismo 7 mesi all’anno, e l’Italia dovrebbe essere la Florida dell’Europa: se al Sud invece di portare le industrie metalmeccaniche avessimo realizzato infrastrutture e aeroporti, l’investimento sarebbe stato più intelligente. Il prezzo medio del turista che viene in Italia è di 100 euro, il 40% in meno della Germania, e un terzo rispetto agli Usa: vuol dire che in quei Paesi ci sono le infrastrutture e le condizioni per spendere. Il nostro invece è un Paese immobile davanti a ogni cambiamento».

Il Twiga a Otranto cosa sarà?
«Un punto di incontro con servizi adeguati, con possibilità per tutti di partecipare agli eventi organizzati. Non un posto “per ricchi”, ma semplicemente una spiaggia che ci si aspetta di avere in un luogo meraviglioso come Otranto».

L’impiegato pubblico sarà nelle condizioni di venire al Twiga?
«Ma sì. È lo stesso ragionamento quando mi parlano del Billionaire: un drink lì costa 15 euro...

Quando non si conosce, si straparla. Vedrete: abbiamo alzato il livello dei servizi, e sarà un successo. E continueranno a esistere anche le altre spiagge, certo non chiuderanno. Con una differenza: miglioreranno tutte, perché quando qualcuno eleva la qualità dei servizi, poi tutti dovrebbero adeguarsi».

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