Investimenti e progetti sotto l'incubo dei giudici: «E' un Paese di pazzi»

Investimenti e progetti sotto l'incubo dei giudici: «E' un Paese di pazzi»
di Paola ANCORA
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Venerdì 26 Maggio 2017, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 18:27
 Che sia faraonico o preveda soltanto la sostituzioni degli infissi di una finestra, poco importa: realizzare un progetto equivale, spesso, a camminare bendati «in un campo minato». Fra leggi complesse e modificate di continuo e uffici poco o male attrezzati a interpretarle correttamente e con pressioni di ogni tipo alle quali far fronte. Con il risultato che gli investimenti sfumano - dall’ex Colonia Scarciglia al centro termale di Santa Cesarea, per venire al caso più recente del resort di San Cataldo - che da decenni si tenta di snellire procedure ancora infinitamente lunghe e barocche e che, ancora, violare la legge – in buona fede o coscientemente – è facile e, purtroppo, frequente. Il quadro emerso dal convegno organizzato ieri all’Arthotel dal collegio provinciale dei Geometri di Lecce, presieduto da Eugenio Rizzo e dai Giovani Avvocati amministrativisti salentini, presenta chiaroscuri molto marcati. Titolo: “Edilizia e paesaggio, confronto tra giurisdizione amministrativa, penale e contabile”. 
In platea un centinaio fra geometri, funzionari pubblici, impiegati degli uffici tecnici e dirigenti comunali. Al tavolo dei relatori, avvocati amministrativisti e giudici, penali e contabili. La rappresentazione plastica del difficile rapporto fra sviluppo e paesaggio, fra imprese e aule di giustizia, era tutta lì. Quattro ore di approfondimenti dedicati alle nuove norme urbanistiche ed edilizie, a come andranno interpretate e applicate in quello che – per dirlo con le parole dell’avvocato Angelo Vantaggiato, fra i relatori - «è un Paese di pazzi». Dove le leggi cambiano di continuo, le eccezioni sono numerose al punto da assurgere a regola, la discrezionalità è un monolite difficile da abbattere e per portare avanti progetti e investimenti occorre, oltre a un buon pool di avvocati nelle vesti di consulenti, anche una massiccia dose di «prudenza», come ha suggerito Antonio Quinto, anche lui avvocato e relatore nel convegno di ieri. 
 
Un quadro così complesso, quello della tutela dell’economia da un lato e del paesaggio dall’altro, da spingere l’avvocato Luciano Ancora, consigliere dell’Ordine degli Avvocati, a lanciare provocatoriamente l’idea di «un tavolo di concertazione al quale far sedere anche la Procura, perché preventivamente si analizzino il grado di tenuta e legittimità di un determinato investimento». 
A poco valgono infatti le buone e recenti modifiche approvate in tema di autorizzazioni paesaggistiche, se «assistiamo a interpretazioni normative che gridano vendetta» ha detto il professore di Diritto amministrativo all’Università del Salento, Pier Luigi Portaluri: «Il senso delle nuove leggi è asciugare la discrezionalità delle amministrazioni chiamate al rilascio dei titoli edilizi e paesaggistici» ha spiegato Portaluri, plaudendo alla «rivoluzione copernicana» introdotta dal Piano paesaggistico regionale della Puglia e censurando drasticamente quanto sta accadendo, però, per gli stabilimenti balneari. «Quello non è un buon esempio di lealtà fra istituzioni, perché i lidi che hanno cercato di ottenere legittimazione a mantenere in piedi le strutture durante l’inverno sono stati considerati dei violatori delle norme, che non sono le corde di un ring».
E a un incontro di boxe, invece, è paragonabile l’eterna lotta per tenere in piedi i lidi o per realizzare chioschi fronte mare o dehors di bar e ristoranti, per esempio in una città turistica come Lecce. Interventi, questi, per i quali la nuova normativa esclude la necessità di richiedere una autorizzazione paesaggistica, ha spiegato Quinto. La norma prevede pure «ritmi serrati per il rilascio, invece, delle autorizzazioni cosiddette semplificate, da concludere nel termine tassativo di 60 giorni». Un grande passo avanti, si dirà. Se non fosse che, anche in questi casi, i dubbi degli addetti ai lavori sulla possibilità concreta di rispettare i tempi e ottenere rapidamente il via libera di tutti gli enti coinvolti, sono numerosi. 
«La sfiducia è reale – ha aggiunto Vantaggiato – anche perché c’è stato un tentativo continuo di introdurre innovazione e semplificazione, senza riuscirci mai. Forse nel sistema, dagli operatori agli uffici tecnici passando per gli organi controllo, c’è una scarsa tendenza ad assimilare le novità. E tutti gli spazi lasciati vuoti dalle norme sono occupati dal potere». E finché le innovazioni introdotte saranno di più complessa applicazione delle vecchie procedure, gli uffici sceglieranno l’antico e la celerità resterà un miraggio: «Finché iter e norme non saranno chiari – ha detto ancora Vantaggiato - gli uffici tecnici continueranno ad essere pieni di pratiche». E i tecnici, progettisti e dirigenti comunali, «potrebbero essere chiamati ai danni da un privato che si vede negare la realizzazione di un progetto. Il problema è di una serietà spaventosa». Anche perché «ancora oggi le norme di tutela del paesaggio vengono interpretate come divieto. E se non si comprende che dobbiamo agire tutti in un’unica direzione, che contempli la tutela dell’interesse economico e quella dell’ambiente, la Procura avrà ancora molto da lavorare». Non solo quella del tribunale penale, ma anche la Procura della Corte dei Conti. 
Per questo il giudice contabile Vittorio Raeli, che ha chiuso, con il suo intervento, i lavori del convegno, ha sollecitato a puntare sulla prevenzione: «In edilizia non si può bloccare tutto per paura - ha detto - e la legalità è un valore che dobbiamo trasmettere ai giovani». Così, se «la legge non può colmare tutti gli spazi interpretativi» ed è quindi necessario, nelle Pubbliche amministrazioni, un continuo aggiornamento della classe dirigente, dal punto di vista repressivo sarà essenziale sia il potenziamento dei rapporti fra Procura penale e contabile, già contemplato da uno specifico protocollo d’intesa, che l’applicazione di norme rimaste, fino a oggi solo sulla carta. Per esempio quella che consente, in caso di danno ambientale, di rivalersi su chi lo ha provocato: «Non c’è stato un solo caso fino a oggi - ha detto Raeli -, neanche in casi in cui, come quello dell’Ilva, i danni sono evidenti. Accanto alle norme, insomma, ci vuole un ruolo più attivo della magistratura»
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