Studi di settore: un’impresa su quattro non è “in regola”

Studi di settore: un’impresa su quattro non è “in regola”
di Pierpaolo SPADA
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Domenica 22 Ottobre 2017, 05:35 - Ultimo aggiornamento: 20:10
Secondo i più recenti orientamenti, la crisi sarebbe ormai alle spalle. Ma le difficoltà per le imprese pugliesi e, soprattutto, per quelle salentine appaiono ancora molto vive. Se, come è emerso nei giorni scorsi, Lecce detiene una posizione di assoluto primato nel contesto regionale in materia di contenzioso tributario, non meno intenso si rivela il grado di non congruità dei ricavi o dei compensi rilevato per conto del tessuto imprenditoriale del territorio.
Risultato preoccupante. Forse, non è solo il prodotto di semplici “manchevolezze”. I conseguenti ed eventuali accertamenti definiranno con maggiore precisione l’entità del fenomeno. L’Osservatorio economico diretto da Davide Stasi, in collaborazione con l’Associazione italiana dottori commercialisti ed esperti contabili (Aidc) ha calcolato che sono, di fatto, più di 54 mila le aziende pugliesi che non rispettano gli studi di settore: 12.528 società di capitale, 5.869 società di persone e 36.044 tra ditte individuali, lavoratori autonomi e liberi professionisti. Parliamo del 27,6% delle aziende sul totale di 196.985 partite Iva, obbligate all’analisi di congruità. 
Di queste 54mila imprese, 10.790 sono quelle appartenenti alla provincia di Lecce. Solo la provincia di Bari esprime numeri più consistenti,17.151 aziende. Seguono Taranto (7.949), Foggia (7.568), Brindisi (5.745) e Barletta-Andria-Trani (5.238). 
 
Gli studi di settore rappresentano uno strumento che consente di stimare i ricavi o i compensi che dovrebbero essere dichiarati dal contribuenti e il relativo indice di congruità e, dunque, sono un ausilio per l’Amministrazione finanziaria nell’attività di accertamento e controllo. In tutti i casi in cui sia rilevata “incogruità” l’Agenzia procede all’avvio della fase istruttoria ma, prima ancora, invita al contraddittorio in modo da mettere il contribuente nella condizione di dimostrare la correttezza dei propri conti, quindi, di difendersi. A breve gli studi di settore saranno sostituiti da un nuovo strumento, denominato Isa (Indici di sintetici di affidabilità fiscale). Spiegano Stefania Mazzotta e Mirko Simone per conto dell’Associazione dei dottori commercialisti ed esperti contabili: «Gli Isa andranno a sostituire gli studi di settore di quasi un milione e mezzo di contribuenti. L’Agenzia delle Entrate, infatti, ha già individuato i primi 70 indici sintetici di affidabilità, di cui 29 elaborati per il settore del commercio, 17 per il comparto dei servizi, 15 per il manifatturiero e 9 per professionisti». 
C’è della convenienza. I “nuovi” indici prevedono anche delle premialità per i contribuenti: quelli che risulteranno affidabili – è altresì precisato dai rappresentanti dell’Associazione – avranno accesso a benefici premiali, fra cui l’esclusione dagli accertamenti di tipo analitico-presuntivo e una limitata applicazione degli accertamenti basati sulla determinazione sintetica del reddito.
Se ne discuterà nel corso del sesto meeting nazionale dell’Aidc in programma venerdì prossimo al Politeama sul tema “Professionisti. Protesta. Proposto”. 
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