In 12 mesi spese per 1,2 milioni. Filobus, costi dello smontaggio ammortizzati in pochi anni

In 12 mesi spese per 1,2 milioni. Filobus, costi dello smontaggio ammortizzati in pochi anni
di Paola ANCORA
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Giovedì 27 Aprile 2017, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 11:08

Che il filobus si possa smontare senza pagare una penale è scritto nelle leggi e nelle carte che ne hanno tracciato il percorso, dalla progettazione al finanziamento fino alla realizzazione dell’opera. Ma passare dalle intenzioni ai fatti è cosa diversa. Che richiederà certamente il coinvolgimento del ministero delle Infrastrutture - che ha erogato allo scopo 13,297 milioni di euro - e della Regione, che ha finanziato l’acquisto di una parte dei mezzi stabilendo una serie di vincoli. Ci saranno poi da valutare una serie di aspetti, a partire dal costo da sostenere per l’eventuale smantellamento di circa 900 pali, dei fili e delle strutture fisse delle tre linee della filovia. 
Quanto costerebbe smontare il filobus? Capirlo non è impresa semplice. «Ci vorrebbe un progetto» dice l’ingegnere Vito Pascale, ex direttore d’esercizio dell’impianto. «Bisognerebbe capire quanto materiale è recuperabile, è molto difficile fare una stima». Chi, negli anni, si è occupato del sistema elettrico di trasporto urbano parla di qualche milione di euro, dai 3 ai 4, per togliere tutto e ripristinare lo stato dei luoghi. Si tratterebbe di una media di 4.500 euro a palo, ammortizzabile in poco più di tre anni atteso che le spese sostenute fino a ora dal Comune per il funzionamento del sistema ammontano a 1,2 milioni di euro l’anno. Si tratta, però, di stime approssimative, sulle quali, in ogni caso, nessuno ha inteso mettere il sigillo dell’ufficialità.
Nella vicina Bari, lo scorso anno, l’amministrazione di Antonio Decaro ha eliminato una parte della vecchia filovia, ormai inutilizzata, il cui impianto creava intralcio alla circolazione e una serie infinita di incidenti. Secondo Franco Lucibello, direttore dell’Amtab, cioè dell’azienda che nel capoluogo di regione si occupa del trasporto pubblico locale, «il costo di smontaggio del filobus è poca roba, si tratta di qualche decina di migliaio di euro. Costi legati per lo più alla manodopera. È tenere in esercizio il filobus che costa molto, molto più di quanto si spenda, invece, per i normali autobus. A Bari esiste una linea nuova, che non abbiamo ancora attivato proprio per problemi di costo - continua - nonostante su quella tratta ci sia una grande richiesta di trasporto. C’è anche il problema delle sedi proprie lungo le quali far correre questi mezzi: se non ci sono, e non parlo delle normali corsie preferenziali, mandare un filobus nel traffico è controproducente. A ciò si aggiungano i costi di manutenzione elevati. Per poche migliaia di chilometri all’anno non ne vale proprio la pena».
Parliamo - è bene sottolinearlo - di pareri e stime legati a casi simili, ma non uguali, a quello leccese. Perché in tutto il Paese non esiste - lo conferma Pascale - una storia simile a quella del filobus del nostro capoluogo. 
Certo è che la spesa sostenuta fino a oggi dal Comune, ogni anno, per gestire il filobus è di 1,2 milioni di euro, a fronte di ricavi pari a circa 130mila euro ogni semestre. Il mezzo è utilizzato per lo più da anziani e studenti, lungo la linea che porta a Ecotekne e che la mattina è la più sfruttata, ma per il resto i mezzi, nuovi di zecca e già passati al vaglio dei tecnici ministeriali, circolano semivuoti lungo i viali della città. 
Anche la Sgm, partecipata del Comune alla quale l’ente ha affidato la gestione della filovia fino al 2018, mantiene una posizione di stretto riserbo sulla vicenda, evitando qualsiasi valutazione sul rapporto costi-ricavi e previsioni sul futuro. Il presidente dell’azienda, Mino Frasca spiega che «si terrà presto una riunione sul filobus» - in programma già per questa mattina - ma l’amministratrice di Sgm, Ilaria Ricchiuto precisa che «le scelte da fare sono ancora in corso d’esame. Noi ci atteniamo al contratto. Ci limitiamo a gestire il filobus nelle regole che il Comune ci ha dato». Nessuna anticipazione sul piano industriale che pure, si è detto nei giorni scorsi, è stato depositato e si attende da qualche anno, né sulle intenzioni dell’azienda.
Che non sia un investimento fruttuoso lo dicono i dati e lo ha messo nero su bianco l’amministrazione nella delibera di costituzione di parte civile nel processo, al via nelle prossime settimane, sulle presunte tangenti pagate nella fase di progettazione dell’impianto. Ma quando si tocca il tasto “smantellamento”, il Comune mette in guardia - lo ha fatto già ieri - sul rischio dell’apertura di un contenzioso con il ministero, che ha erogato parte del finanziamento, e su quello di un possibile intervento da parte della Corte dei Conti per un eventuale danno erariale. 
La presidente della Società italiana di Economia dei trasporti e docente all’Università di Bari, Angela Stefania Bergantino sottolinea che «investimenti di tale portata non possono comunque essere realizzati senza una accurata analisi della domanda e, una volta realizzati, devono essere accompagnati da una politica della mobilità coerente ed efficace».

A dirlo è anche il decreto legislativo 50 del 18 aprile 2016, che «ha riformato - spiega - il settore dei contratti pubblici adeguandolo alle direttive comunitarie e intervendo, in particolare, sui livelli di progettazione». Quel decreto ha eliminato studi di fattibilità e progetti preliminari «e introdotto il progetto di fattibilità tecnica ed economica, che individua tra più soluzioni quella che presenta il miglior rapporto tra costi e benefici per la collettività, in relazione alle specifiche esigenze da soddisfare e alle prestazioni da fornire. Le infrastrutture pubbliche - conclude la docente - devono essere concepite nella loro inscindibile unità fra il servizio prodotto e l’opera fisica costruita a tal fine, ricercando un interesse pubblico ancorato, per legge, non più alla proprietà pubblica, ma alla finalità del servizio realizzato». 

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