Lecce, avvocati copioni i gip dicono sì alla maxi multa

Lecce, avvocati copioni i gip dicono sì alla maxi multa
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Sabato 28 Novembre 2015, 10:00
Alla fine il conto per più di 100 aspiranti avvocati delle province di Lecce, Brindisi e Taranto accusati di aver copiato durante le tre prove scritte dell’esame di Stato nel dicembre 2012 è arrivato. E supera il milione di euro. A presentarlo sono stati qualche settimana fa (ma la notizia è trapelata solo ora) i gip (giudice per le indagini preliminari) del tribunale di Lecce Antonia Martalò e Simona Panzera, che hanno accolto la richiesta avanzata, lo scorso agosto, dal procuratore della Repubblica Cataldo Motta.

È 11mila euro la cifra messa nero su bianco su ciascun decreto penale di condanna notificato a 101 su 103 indagati. Sono quindi solo due le richieste respinte dal giudice Martalò. Per alcuni però la partita resta aperta. Sosterranno un processo, essendosi opposti al provvedimento che li tratteggia come copioni. Copioni non proprio abili, considerato che la commissione esaminatrice di Catania, incaricata di correggere più di 1.200 elaborati svolti nella sala dell’Ecoteckne (non adeguatamente isolata e priva di schermatura) a Lecce, si accorse di alcune “singolari coincidenze”, annullò i loro compiti e li inviò alla commissione d'esame locale presieduta dall’avvocato Francesco Flascassovitti.

È così che partì l’inchiesta condotta dal procuratore capo Cataldo Motta con il prezioso contributo del vicequestore Floriana Gesmundo e del funzionario tecnico Andrea Carnimeo, del compartimento di polizia postale di Bari, e dell’ispettore Salvatore Antonio Madaro, della sede di Lecce. Le indagini svolte utilizzando potenti software, come il Tetras, consentirono di entrare nei cellulari degli indagati, ovviando al sequestro, partendo proprio dal numero fornito dagli stessi nelle domande di ammissione, di scorporare le e-mail scambiate con gli studi legali, gli sms in entrata e in uscita, e le connessioni a siti web specializzati in diritto durante le ore delle prove scritte.

La violazione accertata dalla Procura riguarda una norma datata quasi un secolo fa, la legge numero 475 del 1925, che all’articolo 1 parla chiaro: “Chiunque in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorità o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro grado o titolo scolastico o accademico, per l'abilitazione all'insegnamento ed all'esercizio di una professione, per il rilascio di diplomi o patenti, presenta, come propri, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri, è punito con la reclusione da tre mesi ad un anno”. E la pena detentiva individuata dal numero uno della Procura di Lecce fu di tre mesi, poi convertita in quella pecuniaria di 11mila euro.
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