La carica dei salentini nella “Grande Mela”

La carica dei salentini nella “Grande Mela”
di Giorgia SALICANDRO
9 Minuti di Lettura
Lunedì 16 Maggio 2016, 20:41
Un secolo fa era il miraggio della Statua della libertà che commuoveva e accecava lo sguardo. E poi Ellis Island, “l'Isola delle lacrime”, che muoveva al pianto per la ferocia dei controlli sanitari e la fine del sogno americano per i molti rispediti in patria. Poi c'è stata la New York dei film, un sogno da coltivare tra le mura domestiche, la Grande Mela dei grattacieli specchianti, della Little Italy di celluloide nella trilogia del Padrino, delle feste alla Factory di Andy Warhol, delle saghe mondane di Sex and the city. Ma emancipandosi dal passato e dalla New York da manifesto cinematografico, ciò che resta è, oggi, una città che continua ad attrarre italiani grazie al biglietto da visita di decine di Università private - dalla Columbia che vanta il più alto numero di premi Nobel al mondo dopo Harvard, ai centri minori – ma anche grazie ai giochi della finanza internazionale di stanza nella City e, non ultima, all'industria dell'arte.
Anche i salentini, dopo un secolo di viaggi Oltreoceano, continuano ad arrivare. Nel 2016 ne contiamo 142 dalla sola provincia di Lecce, secondo i dati dell'Anagrafe italiani residenti all'estero, 79 uomini, 63 donne.


Alessandra Pomarico
curatrice d'arte

«Per amore 18 anni fa spiccai il volo oltreoceano»

Curatrice d'arte, una rete internazionale di contatti e un ruolo strategico in una fondazione che sostiene progetti culturali: la Grande Mela sembra fatta apposta per Alessandra Pomarico, leccese d'origine, di Manhattan d'adozione. Eppure, strano a dirsi, 18 anni fa non è stata la carriera a far scattare in lei la scintilla per New York. Lo racconta lei stessa: «Il padre di mia figlia è un musicista newyorkese: l'amore, la vita mi hanno portata qui più di ogni altra cosa. Certo – ammette – è anche vero che se fosse stato, mettiamo, texano, forse non lo avrei seguito».
Così, con vari su e giù da 18 anni, e più stabilmente da quando ha ottenuto la “green card” e sua figlia ha cominciato la scuola, Alessandra è a New York. O meglio: ci vive, dato che i suoi progetti si realizzano in ambito internazionale, Salento incluso. A Lecce è stata tra i fondatori di Ammirato Culture House e oggi continua a seguirne i progetti grazie al link con Musagetes, la fondazione per cui lavora; nel Salento ha curato anche la residenza artistica “Sound res” a San Cesario, e ha all'attivo festival, mostre e altri progetti.
Una scelta professionale, ma anche una “strategia” per tenere in piedi un lungo ponte sentimentale che attraversa l'Oceano. «Non amo le scelte definitive, per questo ho sempre rifiutato lavori troppo stabili e contratti rigidi – spiega - le mie attività mi consentono di tornare almeno quattro volte l'anno e ritrovare la mia famiglia, la mia casa, il mare, la luce, i miei amici di sempre, insieme ai nuovi amici che mi porto dietro».
Già, perché c'è anche la “cricca” di New York, che non esclude qualche caro amico salentino di stanza o di passaggio in città, ma che abbraccia persone di tutto il mondo. Un giro di cosmopoliti e girovaghi come lei, che pur amando il Salento manca da casa da quando aveva 19 anni, prima per andare a studiare a Milano, poi alla Sorbonne di Parigi e alla Sapienza di Roma, con una parentesi di pochi anni a Lecce per un dottorato in Sociologia delle migrazioni. Un volo a New York, l'amore, il lavoro, le radici fortemente salentine, «la linfa che circola in ogni direzione».

Angela Dima
Scenografa

«Il mio sogno è restare qui ad inventare il mio futuro»

“Angela prende il volo”. Prendiamo in prestito il titolo di un romanzo di Enrico Palandri per raccontare la storia di Angela Dima, che da due mesi ha lasciato il Salento per “andare a cercarsi” a New York. Irrequieta e giovanissima l'Angela del romanzo, inquieta e con tutta la vita davanti anche la nostra. Cresciuta a San Pietro Vernotico, dai quattordici anni in poi trascorre a Lecce le sue giornate, prima al Liceo artistico, poi all'Accademia di Belle arti. Va in cerca di ispirazioni, a volte le trova, altre si perde. Abbandona gli studi, se ne pente, ma nel frattempo trova da sé i suoi maestri, segue i laboratori di Eloy Morales, collabora a progetti artistici eterogenei, tra cui uno per il palco di Emma Marrone nel 2012.
Poi, a 28 anni, Angela prende il volo. In valigia matite, pennelli, e il desiderio barattare la sconfinata tavola orizzontale del paesaggio salentino con le energie verticali di New York. «Ho sentito il bisogno di provare, cambiare totalmente stile di vita, lingua e abitudini – racconta - New York è una città che ti contagia, ti trascina nella vita frenetica ed energica, senza mai fermarsi o rassegnarsi».
Di giorno segue i corsi di disegno dal vero della Art Students League, il resto del tempo si perde nella città, il naso all'insù per vedere fin dove si spingono i grattacieli, matita e quaderno da disegno nella borsa, per giocare a inventarsi il ritratto delle stelle dei film, come se fossero lì con lei a prendere un caffè americano nel cuore di Manhattan. Poi torna nell'appartamento condiviso nella Upper West Side, e sogna di non doversene più andare. Sì, perché il visto di Angela scade il mese prossimo, e lei continua a progettare piani strategici alternativi, finché spesso finisce per perderci il sonno.
Non è ingratitudine verso il Salento, anzi: è piuttosto il percorso fisiologico di chi sente di mettere a frutto gli “insegnamenti di famiglia” in ciò che fa: «La mia terra mi ha dato tanto, mi ha dato la spinta, lo slancio e la voglia di continuare e io sto continuando a percorrere la mia strada». E chissà che direzione prenderà il volo di Angela.

Danilo Miglietta
Food manager

«Arrivai con un click, non penso di ritornare»

«Lavoro e vita di quartiere: ho trovato l'Italia a New York». Tutto è iniziato per gioco, il tempo di un clic sulla tastiera del computer: il curriculum era pronto, perché non spedirlo lontano, nei luoghi del mondo che avrebbe voluto visitare, nelle città in cui, chissà, avrebbe potuto anche trovare lavoro e una vita nuova? Accadeva una decina d'anni fa. Danilo Miglietta, 35 anni, di Squinzano, vita e lavoro li ha trovati a New York, anche se con un piede – si fa per dire – in Italia: nella Grande Mela, infatti, è food safety manager per Eataly, il colosso del cibo italiano nel mondo. In realtà, il primo clic lo aveva portato a Seattle, in una compagnia specializzata nella produzione di cereali e barrette organiche, dove aveva lavorato per tre anni come quality assurance e in seguito nel ramo della ricerca per lo sviluppo dei prodotti dell'azienda. Dall'altro lato dell'Oceano, il suo cv aveva convinto l'azienda: una laurea in Scienze e tecnologie chimiche all'Università di Parma – con una tesi sulla fotonica - preceduta da un percorso nel settore chimico biologico iniziato a Lecce, all'Istituto De Pace.
Nel 2010 un nuovo clic, questa volta non per gioco, ma come salto consapevole nella Grande Mela. Ed è così che Danilo entra in Eataly, che gli affida la supervisione sulla sicurezza alimentare dei prodotti. Italia a lavoro, Italia nel suo quartiere, Park Slope, una zona residenziale di Brooklyn dove vivono tantissimi connazionali. Tornei di calcio balilla, la pizzeria a pochi passi dal suo palazzo, la colazione al Caffè Italia sono il modo per continuare a sentirsi a casa, anche se salentini non se ne vedono. «Ma pugliesi sì – precisa - soprattutto baresi».
Una consolazione che, per adesso, gli basta. «Da quando ero piccolo ho sempre sognato di vivere a New York, una città multietnica e con un sacco di cose da fare ogni giorno – commenta - lavoro per Eataly che è il terzo posto più visitato della città dopo l'Empire State Building e Time Square: solo l'anno scorso abbiamo avuto cinque milioni di visitatori. Per ora non penso di ritornare in Italia, anche se il Salento mi manca. Ogni estate, a agosto, volo a casa per almeno due settimane».

Vincenzo Selleri
Docente

«Ora insegno all'università, la mia vita ha svoltato»

Madre di Brooklyn, passaporto americano, una laurea in Lingue. Che altro poteva mancare per richiamare Vincenzo Selleri a New York? In realtà, parecchie cose. A cominciare dal lavoro, un'incognita negli Stati Uniti, mentre a Lecce, dopotutto, c'era e cominciava a ingranare. La sua futura moglie, di Campi come lui, nel frattempo fondava con altri l'associazione Meticcia. Eppure qualcosa non tornava. «Dopo l'Università avevo iniziato un dottorato a Parigi – racconta - intanto però la famiglia si era allargata, così sono tornato. Ho aperto un'agenzia di traduzioni, ma aver abbandonato il dottorato mi aveva lasciato l'amaro in bocca. Mia moglie ha suggerito di spostarci, ed eccoci qua».
Certo, ammette, senza i nonni presenti in loco restare sarebbe stato impossibile. Di patinato c'è ben poco a New York se non hai un grande budget da investire nell'affitto – quello sì, stellare – mentre ti batti per ottenere la “green card”. Per lui, che ha la doppia cittadinanza, quest'ultimo scoglio era superato in partenza, eppure il primo anno è stato duro: «Non volevo accettare lavori come cameriere, ero qui per migliorare. Un giorno ho pensato: perché non spedire il cv a qualche Università?».
È la svolta dell'impresa americana. Oggi tiene in contemporanea tre insegnamenti, sia di italiano che di storia, in altrettante Università – City, State e Adelphi University – e ha comprato casa a Est del Queens, dove vive con la famiglia e un cane. Il racconto potrebbe finire qui, invece continua. Sì, perché Vincenzo ritenta anche la via del dottorato e ottiene una borsa di 25mila dollari l'anno (circa 22mila euro, contro i 12-13mila degli Atenei italiani). Ora sta lavorando alla tesi e, altra differenza rispetto all'Italia, può già inviare il suo cv alle Università.
E il Salento? Appena trasferito gli mancava da matti, poi ha finito per mettere da parte la nostalgia. «C'è una tendenza generale ad attendere che le cose cambino, che qualcuno ti offra un lavoro, che l'economia si riprenda. Non è come sono fatto io. Certo, la vita qui è così cara che quando arriverò alla pensione me ne andrò. Ma non è detto che torni nel Salento».

Paolo Mele
Curatore d'arte


«Mi chiamano Paul Apple: vivo nel centro del mondo»

Una laurea in Scienze della comunicazione, l'entusiasmo da giornalista d'inchiesta e l'esperienza de L'Impaziente, poi la ricerca sul campo con l'Osservatorio di comunicazione politica dell'Università del Salento. Paolo Mele, o «Paul Apples – ormai - per gli amici», nel 2007 sentiva di aver già divorato ciò che Lecce aveva da offrirgli. Quell'anno parte e continua a vivere due o tre vite in una, in altrettanti centri: Torino, dove lavora alla Bjcem, poi Milano, dove vince un dottorato in Arte e nuovi media allo Iulm, ma tiene anche un piede nel Capo di Leuca, contribuendo a fondare Ramdom, organizzazione che si occupa di arte contemporanea.
Nel frattempo, nel 2013 arriva a New York per fare ricerca. Dovrebbe restarci un anno, senonché quando vede South Brooklyn, l'area meno “hipster” e di maggior fermento del quartiere, capisce che il suo cuore ha finalmente trovato casa. Ma come insegna il poeta García Marquez, «il cuore ha più stanze di un bordello», e anche nel cuore di Paolo c'è tanto spazio da tenere insieme due continenti. Finito il dottorato, rientra stabilmente a New York e partecipa a residenze per curatori d'arte, nel frattempo lavora con Ramdom e da un anno gestisce, insieme ad altri, Lastation, un progetto artistico presso la stazione della “sua” Gagliano del Capo.
«Dal 2013 ad oggi sono rientrato in Italia con una media di tre o quattro volte l’anno – spiega - non ho mai abbandonato il mio territorio, anzi, ho sempre cercato di riportare esperienze, contatti, nuove competenze acquisite, nonostante non sempre le risposte delle Istituzioni e dei privati siano state incoraggianti».
E l'idea è di continuare a mettere in dialogo quello che è uno dei centri mondiali dell'arte con la suggestione impareggiabile che viene da Sud. È questa la formula di Paolo: cuore e testa sempre in due continenti, senza precludersi nulla: «New York non è solo il centro della mia attività, è il centro del mondo. Penso comunque che non ci vivrò per sempre, né tanto meno ad ogni costo».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA