Il vescovo alla città: «Non delegate, aiutate i più bisognosi»

Il vescovo alla città: «Non delegate, aiutate i più bisognosi»
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Sabato 27 Agosto 2016, 09:11 - Ultimo aggiornamento: 11:44
 «Non servi, ma amici». Non indifferenti, ma partecipi delle difficoltà degli altri. È stato questo, ieri, durante l’omelia della messa conclusiva delle celebrazioni per i santi patroni Oronzo, Giusto e Fortunato, il messaggio del vescovo Domenico D’Ambrosio alla città. Un messaggio particolare, come particolare è stato il rito, durante il quale i fedeli sono stati chiamati alla cosiddetta professione di fede, cioè a rinnovare le promesse del battesimo.
«Abbiamo da chiederci tutti - ha detto D’Ambrosio -: la professione e la testimonianza della nostra fede riescono a trasmettere e a portare il frutto dell’amore che Cristo chiede ai suoi discepoli? La qualità e la verità delle relazioni all’interno della nostra comunità, sono autenticate da spazi di amore, di reciproco rispetto e accoglienza, di disponibilità, di attenzione? O c’è ancora largo spazio al disinteresse per la casa comune? Privilegiamo i nostri personali interessi mortificando giuste attese di tanti nostri simili?».
Non è il primo richiamo del vescovo alla partecipazione e all’attenzione verso gli altri, non è la prima volta che D’Ambrosio prova a scuotere le coscienze, in primis quelle di chi amministra la città, perché si diano da fare e ascoltino e diano risposte agli ultimi.

«La mancanza di lavoro, la disoccupazione, le famiglie piagate dalla povertà, i giovani che attendono, i poveri che hanno fame - ha chiesto - quali attenzioni e quali rimorsi generano in noi? E ci può lasciare tranquilli il sapere che ci sono altri erogatori (la Caritas, le mense, la Casa della carità, i punti ristoro, le parrocchie) che provvedono? Cresca in tutti noi il frutto dell’amore vicendevole, della carità che soccorre, della generosità che vince gli egoismi - ha sollecitato il vescovo dal pulpito - e aumenti il numero dei molti che si sono fatti servitori dei fratelli laddove la carità della nostra Chiesa apre il suo cuore e dona il frutto dell’amore ai tanti che lo cercano perché non ne hanno».
Un’omelia, quella del vescovo, che ha voluto ricordare alla città anche l’importanza delle figure dei santi Oronzo, Giusto e Fortunato, «illustri e degni di essere ricordati come “uomini di fede le cui opere giuste non sono dimenticate” e invocati perché sono i nostri padri nella fede, la fede che connota la nostra storia da sempre». Un legame forte, al quale si è richiamato, nei giorni scorsi, anche il sindaco Paolo Perrone, sottolineando che «la storia di Lecce non può essere scritta senza tener conto del legame, forte, che la città ha avuto e ha con la Chiesa».
La vicenda storica dei santi patroni, «lontana nel tempo, per il poco che ci è dato conoscere, passa attraverso il primo annunzio della fede cristiana legato al Credo apostolico nel nostro Salento, agli albori del Cristianesimo». Ha richiamato Giulio Cesare Infantino, il vescovo, che nel sedicesimo secolo di Lecce scriveva: “Fra i suoi pregi Lecce ha la Chiesa cattedrale ordinata dal predicatore delle genti San Paolo quando nella città di Corinto consacrò il primo vescovo di questa Chiesa, che fu Orontio cittadino leccese, condottovi da San Giusto, Fondatore della Religione Cristiana in questa cittadina di Lecce e discepolo del medesimo San Paolo nel ritorno ch’egli fece da Roma: il quale poi insieme col medesimo Giusto rimandò di nuovo a Lecce, per attendere a coltivare questa vigna dal medesimo Giusto piantata, convertendo, e battezzando gli habitatori del paese. Onde può meritatamente gloriarsi d’essere delle prime Città Christiane d’Europa”.
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