I pomodori del caporalato salentino finivano dai grandi marchi

I pomodori del caporalato salentino finivano dai grandi marchi
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Lunedì 23 Ottobre 2017, 19:36 - Ultimo aggiornamento: 19:40
A oltre due anni di distanza dalla scia di morti che scossero il Salento e la Puglia aprendo definitivamente gli occhi di tutti sullo sfruttamento disumano dei braccianti agricoli, arriva un risvolto nuovo e imprevedibile, che suona come una beffa e coinvollge anche due big del settore delle conserve: Mutti e Cirio. 
Nell'indagine sul caporalato avviata nel Salento dopo la morte di Abdullah Muhamed, il 47enne sudanese stroncato dal caldo a 40° gradi raccogliendo i pomodori nei campi di Nardò, spunta infatti una falla nella filiera del pomodoro prodotto nel Salento, che dall’azienda agricola di Nardò in cui lavorava Abdullah sono infatti arrivati prima alla Cooperativa Terre di Federico di Andria, dove il pomodoro fu conferito per essere trasportato alle aziende di trasformazione; e poi, tra queste, alla Conserve Italia di Mesagne, gruppo in provincia di Brindisi che può vantare tra i suoi marchi Cirio, e alla Fiordiagosto di Oliveto Citra, in provincia di Salerno, del gruppo Mutti.
Per la Procura di Lecce i braccianti di quell’azienda «erano sottoposti a ritmi sfiancanti di 10-12 ore al giorno di lavoro, spesso in nero, in condizioni atmosferiche e climatiche usuranti, senza il riposo settimanale e le pause». La paga era di 50 euro al giorno, dai quali bisognava sottrarre i costi per il trasporto in campagna e quelli per cibo e acqua da acquistare dai caporali. Le indagini hanno appurato che quei pomodori raccolti dal bracciante sudanese sono finiti nelle bottiglie e nei barattoli di Mutti e Cirio. «Ma le aziende – spiega la pm Guglielmi – non hanno alcuna responsabilità penale, altrimenti le avrei indagate: fanno parte delle indagini che prevedevano l’accertamento dell’intero percorso del prodotto».
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