Odissea in reparto: «Lasciata sola, torno in Svizzera»

l'ospedale di Gallipoli
l'ospedale di Gallipoli
di Valeria BLANCO
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Lunedì 29 Agosto 2016, 09:48 - Ultimo aggiornamento: 12:56
Le valigie sono pronte per tornare in Svizzera, ma nel cuore rimane l’amarezza. Non sarà un rientro felice quello di Carmela Gervasi in Barone, una donna di Sannicola che da decenni ormai vive in Svizzera, ma che ogni anno torna nel Salento per trascorrere le sue ferie ad Alezio.
Qualche giorno fa, infatti, un tremendo mal di pancia l’ha costretta a ricorrere alle cure dei medici dell’ospedale “Sacro cuore” di Gallipoli, da dove però la signora è andata via dopo un paio di giorni di ricovero. «Preferisco tornare a curarmi in Svizzera - si sfoga -, dove i pazienti ricevono un trattamento più umano».
La vicenda inizia quando la donna, che ha già subìto un’operazione all’addome, inizia ad accusare un forte mal di pancia. È venerdì 19: sentito il medico di guardia, la signora si reca al Pronto soccorso dell’ospedale di Gallipoli. «So che un’ora può non sembrare molta - racconta - ma ho temuto di morire: ho già avuto gravi problemi di salute e l’ho fatto presente in accettazione. Avevo dolori tremendi e continuavo a vomitare. A un certo punto persino le altre persone in fila si sono prodigate perché un medico mi vedesse al più presto, mentre dall’accettazione mi ripeteveno che dovevo aspettare perché c’erano altri prima di me».
Dopo un’attesa durata più di un’ora ma sembrata interminabile, la donna riceve le cure e viene rimandata a casa.

Ma nella notte il mal di pancia si ripresenta ancora più forte e di nuovo la donna, sentito il medico di guardia, torna al Pronto soccorso. Sono le 11 del sabato mattina, ed è qui che inizierebbero i suoi guai. «Sono arrivata attorno alle 11 - racconta - e stavo molto male. Mi hanno ricoverata alle 17, dopo una lunga ed estenuante attesa nei corridoi dell’ospedale. Nel reparto di Chirurgia, però, non è andata meglio: sono rimasta per due giorni senza poter mai parlare con un medico, prendendo delle medicine senza sapere che cosa avessi».
L’umiliazione più grande, però, stando al racconto della donna, sarebbe arrivata quando, durante una crisi con dolori così forti che le hanno causato il vomito e intralciata dal bastone della flebo, non ha fatto in tempo ad arrivare in bagno ed ha vomitato sul pavimento. «Purtroppo - racconta la signora rammaricata - non ce l’ho fatta a raggiungere il wc e mentre ancora mi stavo riprendendo mi sono sentita rimproverare da due infermieri per il fatto di aver sporcato la stanza. Per fortuna che nella mia stanza al quarto piano c’era una donna pagata per assistere una degente che era proprio accanto al mio letto. È stata lei, e di questo la ringrazio, a pulirmi con delle salviettine quando da sola non ce l’avrei proprio fatta».

Quello che lamenta la signora, però, è anche una carenza di comunicazioni sulle sue condizioni di salute. «Nei giorni di degenza - racconta - non ho mai parlato con un medico, mentre gli infermieri si sono limitati a somministrarmi la terapia senza farmi capire cosa mi stesse succedendo. Sono solo riuscita a estorcere a qualcuno che si sospettava la peritonite. Sono già stata operata in passato, ho avuto paura».
Lunedì la decisione: «Ho chiesto di firmare per uscire dall’ospedale. Sono fortunata: ho la possibilità di tornare a casa mia, in Svizzera, e di farmi curare lì dove i servizi sono più efficienti e i pazienti vengono trattati con più rispetto e umanità. Non dico che i medici non siano bravi: ce ne sono di competenti ovunque, ma a volte ci vuole anche un po’ di sensibilità verso i pazienti. Torno in Svizzera, ma chi non ha questa possibilità dovrebbe ricevere un trattamento dignitoso anche qui».
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