Caso brevetti all'Università, assolto anche in appello l'ex rettore Laforgia

L'ex rettore dell'Università del Salento Domenico Laforgia
L'ex rettore dell'Università del Salento Domenico Laforgia
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Sabato 10 Marzo 2018, 12:50
L'ex rettore dell'Università del Salento Domenico Laforgia incassa un'altra assoluzione: dopo il primo grado, anche in appello viene riconosciuta la sua estraneità rispetto alla vicenda delle consulenze sui brevetti assegnate dall'Università alla società "Laforgia, Bruni & partner", della quale, fino al giugno del 2012, deteneva il 50 per cento delle quote e nel cui organico era presente anche il figlio. L'accusa nei suoi confronti era di abuso d'ufficio. La Corte d'Appello di Lecce (presidente Vincenzo Scardia, a latere Eva Toscani e Giovanni Giuseppe Surdo) lo ha assolto perché il fatto non sussiste. Così come aveva chiesto il suo legale di fiducia, l'avvocato Viola Messa, e in disaccordo con le conclusioni cui era giunto il pubblico ministero Paola Guglielmi, che aveva invocato due anni di reclusione. L'ipotesi di reato si fondava sul sospetto che Laforgia avesse condizionato il Consiglio di amministrazione dell'Ateneo nell'indicare la sua società per la gestione dei due brevetti finiti nel mirino della giustizia.

«Ho atteso con grande serenità e accolto con gioia la sentenza d’appello - commenta a caldo Laforgia - che riconferma quella di primo grado. Assolto perché il fatto non sussiste. Sei anni e quintali di carta per accertare che le accuse erano prive di fondamento. E alla luce di questa sentenza spero che coloro i quali hanno scritto la sceneggiatura di questa commedia riflettano sul significato di Verità e Giustizia ma soprattutto su quello di Onestà intellettuale. Anzi, credo che dovremmo farlo un po’ tutti, chiederci come sia possibile perseguire per sei anni una persona innocente soltanto perché avversa al sistema. È un interrogativo che la società civile dovrebbe porsi. Per quanto mi riguarda - conclude - continuerò a vivere come ho sempre fatto, alla luce del sole, dicendo quello che sento, accogliendo le conseguenze del mio agire con la tranquillità di chi non ha scheletri nell’armadio».
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