«Fermare le lezioni per garantire a tutti gli stessi diritti»

«Fermare le lezioni per garantire a tutti gli stessi diritti»
di Renato MORO
3 Minuti di Lettura
Sabato 24 Settembre 2016, 17:17 - Ultimo aggiornamento: 17:50
C’è sempre un Sud a sud del Sud, sempre un disagio in più dopo un disagio. Come una catena di Sant’Antonio che non finisce mai. Sui trasporti locali pensavamo di aver scritto e letto tutto: la lentezza dei treni, l’età che fa delle littorine in giro dei veri e propri pezzi da museo, gli orari impossibili, i tempi dilatati, i bus sporchi e vecchi, i capolinea senza nemmeno un riparo dalla pioggia e dal sole, gli acquisti sbagliati delle nuove macchine, gli sprechi (o presunti tali) e tanto altro. Ma è evidente che non avevamo ancora sfiorato il fondo, sempre che del fondo si tratti: da quando è ricominciata la scuola ci sono centinaia, migliaia di studenti che non riescono a seguire le lezioni rispettando gli orari e il calendario perché non c’è un servizio di trasporto degno di tal nome. Così - davanti a mezzi assolutamente inadeguati, condotti da povericristi che non sanno più come giustificare il disservizio - i ragazzi restano a terra e vedono partire i pochi fortunati che salgono a bordo alle prime fermate.

I genitori si arrabbiano, carabinieri e vigili intervengono, presidi e professori protestano, la Sud Est promette di correre ai ripari ma nulla cambia. Tutto resta fermo, come se ci fosse un copione fisso da recitare ogni mattina con gli stessi attori e la stessa sceneggiatura.
Si tratta di stabilire se da queste parti possiamo ancora ritenere di vivere in un Paese civile, dove i servizi pubblici devono funzionare adeguandosi alle esigenze e alle richieste dei cittadini che pagano le tasse. Quando Trenitalia decise di allungare la corsa del Frecciarossa solo fino a Bari, fece realizzare quella sciagurata cartina dell’Italia nella quale il Salento non appariva. Ignorato, tagliato fuori, come se qui non fosse Italia. Sud Est rischia di fare peggio: una sua cartina del Paese in questo momento mostrerebbe un Salento lontano anni luce dal resto del Paese, periferia delle periferie dove persino il diritto allo studio è messo in discussione. Dove un servizio pubblico indispensabile come è la mobilità, pagato in anticipo dalle famiglie (perché gli abbonamenti si pagano in anticipo), viene erogato col contagocce, sottomesso alle bizze di pistoni che non vanno più, pneumatici da cambiare, frizioni che gracchiano e vecchie locomotive da rianimare con la respirazione bocca a bocca.

È in questo caos, in questa inarrestabile corsa (si fa per dire) verso lo sfascio che dovrebbe levarsi forte la protesta di chi più di altri è chiamato a difendere gli interessi degli studenti, uniche vere vittime dei disservizi. Dirigenti scolastici e professori chiudano le scuole, sospendano le lezioni finché anche all’ultimo degli studenti potrà essere garantito il diritto di raggiungere il suo istituto. A bordo di bus e treni sicuri, puliti e soprattutto dotati di posti sufficienti. Perché c’è un altro aspetto della questione che spesso e volentieri viene ignorato: i nostri ragazzi devono viaggiare in sicurezza come viaggiano i loro colleghi di Milano, Firenze, Ascoli e Cagliari. Non come bestie dirette al macello (con tutto il rispetto verso le povere bestie dirette al macello).
© RIPRODUZIONE RISERVATA