E’ indagato anche in un’altra inchiesta, quella diretta dal capo della Direzione distrettuale antimafia, il procuratore aggiunto Antonio De Donno, che gli contesta l’estorsione aggravata dal metodo mafioso: il 9 settembre scorso fece recapitare al ristorante “Mare Chiaro” una busta con due proiettili ed una lettera scritta a mano e firmata con il suo nome e con il soprannome della sua famiglia: Marco “Tannatu”. Lettera indirizzata ad Antonio Quintana, titolare del ristorante, mentre i proiettili sarebbero stati per il figlio Sandro (consigliere comunale ed ex candidato sindaco) ed il suo collaboratore Francesco Boellis. Avrebbe preteso da loro l’acquisto di un nuovo furgone-frigorifero per il trasporto dei mitili.
Di Gallipoli, 43 anni, 23 (e cinque mesi) dei quali trascorsi in carcere per scontare un cumulo di condanne rimediate da minore mafia e per due omicidi, Marco Barba ha ottenuto l’attenuazione della misura cautelare dopo aver risposto alle domande del giudice Martalò, alla presenza dell’avvocato difensore Paola Scialpi. Perché ha cercato di fuggire, rischiando di ammazzare il carabiniere? Perché teme per la sua vita e quella dei suoi familiari: avrebbe preso in considerazione la possibilità che quei due uomini fossero sicari che gli avrebbero teso una trappola, prendendo le sembianze di carabinieri ad un posto di blocco.
Per questo avrebbe fatto risalire in macchina la figlia Chiara, 20 anni, e non avrebbe fatto scendere la moglie Anna Casole. Per questo avrebbe messo a rischio la vita della consorte, della figlia e del nipotino, con quel tentativo di fuga. E la droga trovata nel portabagagli fra i giocattoli del bimbo? Non ne sa nulla, Marco Barba. Forse l’ha messa lì qualcuno per farlo cadere in trappola, è la possibilità che ha ritenuto più credibile. E un po’ di credibilità deve averne pure avuta, marco Barba, se il giudice Martalò gli ha concesso i domiciliari, pur sapendo di non avere al cospetto un incensurato.