Il futuro dell'Apollo secondo i grandi teatri d'Italia: "Fuori la politica, dentro i privati"

Il teatro Apollo
Il teatro Apollo
di Paola ANCORA
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Domenica 23 Ottobre 2016, 18:56
A mancare è la visione. Il progetto. Il 5 dicembre tre antichi lampadari in vetro di Murano illumineranno area museale archeologica, foyer, platea e palchi dell’Apollo. Il più prestigioso teatro della città, che ha ospitato Beniamino Gigli e Pia Tassinari, Tito Gobbi e Cloe Elmo, Mario Filippeschi e Giacomo Lauri Volpi, verrà inaugurato dopo dieci anni di lavori di restauro costati 12 milioni di euro, fondi regionali. Al taglio del nastro ci saranno autorità e personalità del mondo politico e culturale, non solo pugliese. E ci saranno i cittadini, o almeno lo si spera.
Grande assente, invece, sarà l’idea. La visione del futuro del teatro. Perché fino a oggi – e nonostante le sollecitazioni e gli appelli arrivati finanche dai progettisti che hanno curato il restauro, desiderosi di adeguarlo alle necessità che avrebbe potuto segnalare un direttore artistico – il Comune non ha ancora deciso a chi e in che forma affidare la gestione dell’Apollo. Così, mentre in città si consuma il dibattito su come “riempire” il teatro, di spettatori e contenuti, Quotidiano accompagnerà i lettori alla scoperta di altri teatri e altre gestioni, lontano dai confini provinciali. Per lasciarsi ispirare, imparare dagli errori altrui, prendere a prestito qualche buona idea.
Da una parte Lecce: 94mila abitanti, un teatro da 900 posti, poco meno di quelli de “La Fenice” di Venezia e, all’orizzonte, la possibilità di affidare l’Apollo a una fondazione pubblico-privata in un territorio che non si distingue certo per il mecenatismo culturale dei suoi imprenditori. Basti dire che dei tre milioni di euro di fondi necessari al recupero di alcuni beni culturali salentini affidati al Fai (Fondo per l’Ambiente Italiano), si è riusciti a recuperare con l’Art bonus appena 20mila euro, nonostante la misura varata dal Governo permetta al Mecenate di turno di recuperare il 65% delle somme versate in tre anni. Dall’altra, i teatri San Carlo di Napoli - il più antico teatro d’Europa ancora funzionante - e il Teatro Sociale di Rovigo, in Veneto, progettato da Sante Baseggio ai primi dell’800, distrutto da un incendio e poi ricostruito il secolo successivo.
Il San Carlo appartiene a un’altra galassia: 1.300 posti a sedere, è una delle 15 fondazioni lirico-sinfoniche d’Italia, con 450 dipendenti, un’orchestra e un coro stabili e una programmazione da 286 spettacoli ogni anno. «Una grande azienda culturale» dice Emmanuela Spedaliere, responsabile delle Relazioni istituzionali e del marketing del teatro napoletano. Nella Fondazione San Carlo siedono ministero per i Beni culturali, Regione Campania e Comune, ma anche rappresentanti di banche, università e imprese del territorio che contribuiscono a tenere in piedi i conti del teatro, con un bilancio da 45 milioni di euro. «Con lo sbigliettamento recuperiamo 10 milioni di euro all’anno, ma naturalmente non sono sufficienti. Come Fondazione - continua Spedaliere - riceviamo ogni anno una quota del Fondo unico per lo spettacolo, 14 milioni di euro di finanziamento da parte della Regione e il contributo di banche e imprenditori. Il San Carlo da otto anni chiude il bilancio in attivo». Risultato niente affatto scontato se si guarda al panorama nazionale dei teatri, sempre più vuoti e vuoti, soprattutto, di giovani. «Un teatro che nasce è tutto, soprattutto al Sud. Ed è un “piatto” ghiotto, con i posti di lavoro che la politica potrebbe distribuire. A Lecce, per l’Apollo, bisognerà innanzitutto capire quale strada si vorrà seguire, a quale esempio il Comune intenda ispirarsi. E certamente - conclude - non si potrà escludere il coinvolgimento dei privati: se si vuole riempire il teatro bisogna calmierare i prezzi, modularli sul reddito medio popolare».
Rosanna Purchia, da sette anni sovrintendente del teatro San Carlo, i precedenti 33 al Piccolo di Milano «con Giorgio Strehler e Paolo Grassi» immagina «una vocazione nazionalpopolare per un teatro da 900 posti come l’Apollo, altrimenti non reggerebbe. Ma è la politica a dover dire se ha pensato a un teatro di proposta o d’autore, se ha identificato un artista che lo guidi. E deve dirlo perché il percorso è lungo: il teatro è il più grande artigianato del mondo e i “risultati” che esso produce non sono immediati». Al San Carlo, Purchia ha agito così. E in sette anni non solo i conti sono tornati in ordine, ma «dialogando con il territorio, aprendoci a pubblici diversi siamo riusciti a riempire la sala, a tenere il teatro sempre aperto e ad avere una grande risonanza in Italia e nel mondo. La politica leccese - conclude Purchia - dia la mission dell’Apollo, magari ricorra a un bando per individuare la guida del teatro e poi si limiti a controllare accuratamente la gestione, lasciando intatta l’autonomia culturale di chi lo dirigerà».
Ed è proprio da quest’ultimo principio, l’autonomia, che parte l’analisi di Giampiero Beltotto, dallo scorso agosto presidente della Fondazione Rovigo Cultura che «dovrebbe gestire il Teatro Sociale. Dico dovrebbe - spiega - perché nonostante ciò che è scritto nello Statuto, fino a oggi il teatro è stato gestito dai dirigenti del Comune, secondo i quali la Fondazione è un ente controllato». E non un ente “partecipato”, da Comune e Regione e al cui tavolo potrebbero e dovrebbero sedersi anche i privati, i finanziatori. Anche per questo, per una burocrazia troppo ingombrante e impreparata, «i conti sono disastrosi. E ci sono problemi anche più gravi» continua Beltotto. Problemi che riguardano la programmazione. «La prima di stagione è organizzata nella stessa serata prevista per La Fenice: così i rodigini che amano il teatro non possono andare a Venezia e i veneziani non possono venire a Rovigo. L’anno prossimo proveremo a far concorrenza alla Scala?». Di più. «Per la sicurezza - insiste il presidente Beltotto - sono stati installati dei corrimano sui palchi che impediscono la visuale della scena». Quella di Rovigo è una realtà importante, il Sociale è un teatro antico e nobile, «ma ha avuto la sfortuna di imbattersi in un Comune che, nella sua qualità di socio, vuole far tutto, come Stalin nel 1934. Il rischio a Lecce - riflette - è di imbattersi in dirigenti che vogliano somigliare tutti a Paolo Grassi. Il Comune aiuti le risorse sul territorio a venire fuori, ma non gestisca». E se, per un giorno, il presidente della Fondazione Rovigo Cultura avesse lo scettro del potere e il destino dell’Apollo in mano - «sarebbe un grande onore per me, che sono di origini pugliesi» dice - percorrerebbe la stessa strada indicata da Purchia: «La mission deve essere nazionalpopolare, bisogna portarci i ragazzi nel teatro, tenerlo sempre aperto come le chiese».
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