L'intervista/Galimberti: «La cultura
del nulla che soffoca i giovani»

L'intervista/Galimberti: «La cultura del nulla che soffoca i giovani»
di Claudia PRESICCE
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Lunedì 21 Ottobre 2013, 19:51 - Ultimo aggiornamento: 10 Novembre, 19:51
LECCE - Una civilt incapace di adoperare i suoi pi potenti detonatori e costruttori di futuro, cio i giovani, destinata a finire. Per questo Umberto Galimberti convinto che l’Occidente segua una china senza speranza.


Lo psicoanalista, docente di Filosofia della storia alla Ca’ Foscari di Venezia, è intervenuto a Lecce al Festival della filosofia in Magna Grecia.



Professor Galimberti crede che i giovani siano interessati alla filosofia oggi? C’è voglia di tornare a pensare oppure no?

«Non direi, hanno un gran bisogno di continuare a comunicare in maniera virtuale perdendo il contatto fisico normale dell’incontro abituale. Un bisogno di pensare sinceramente non lo recepisco, anche perché la scuola li ha fortemente demotivati. Il loro linguaggio è diventato modestissimo, usano al massimo duecento parole e, siccome non si può pensare al di là delle parole che si possiedono, concludo che pensano anche poco. Poi bevono molto e questo è un sintomo “anestetico”, cioè un non voler esserci in un mondo che non li impegna, non li chiama per nome, li vive come un problema, allora meglio vivere di notte. La ragione è che la società fa a meno di loro, non ha bisogno di loro».

Li esclude, non li convoca e allora cercano l’agorà virtuale...

«Sì, per non dire niente però. Sui social network parlano di quello che hanno fatto il momento prima, ma non hanno argomenti. Non hanno niente da dire perché non fanno niente, vivono uno stato di rassegnazione spaventoso. È necessario metterli in gioco nel mondo del lavoro, assumerli subito anche a bassissimo stipendio per metterli in contatto con cose reali, con la disciplina che dà alzarsi al mattino presto per fare qualcosa. Altrimenti restano nel vuoto assoluto».

Durante la formazione che cosa si può fare?

«Da piccoli? Dovrebbero annoiarsi di più, hanno troppi stimoli: la scuola, l’inglese, la palestra... E poi dovrebbero ricevere pochissimi regali per sviluppare la fantasia. Se ti annoi da bambino inventi, è da adulto che magari muori. Ma noi pensiamo che loro non si debbano annoiare mai e li bombardiamo con un carico eccessivo di impegni. Di fronte a questo per evitare l’angoscia abbassano la percezione degli stimoli, come fanno i vecchi che si riparano dalle emozioni, e diventano pisco-apatici. Questo significa anche che perdono i valori morali e da adolescenti non vedono nessuna differenza tra corteggiare una ragazza o stuprarla: cade cioè la differenza tra bene e male...».

E le ragazze? È cambiata la percezione dell’amore, dei sentimenti?

«Intanto sono più intraprendenti dei maschi da quando grazie alla pillola si sono liberate. Vivono una fase molto narcisistica, si mostrano per avere conferme della propria identità e del consenso. È però caduto purtroppo il tabù della sessualità... dico purtroppo perché come dice bene Freud dove c’è il tabù c’è il desiderio, altrimenti c’è la pratica, l’idraulica, ma non il desiderio che esiste solo se c’è trasgressione o un limite da non oltrepassare».

Come si può recuperare un’educazione sentimentale?

«Ci vuole cultura. Noi nasciamo con degli impulsi che parlano con i gesti, non con le parole perché non ne hanno. Per esempio i bulli sono rimasti agli impulsi... La fase successiva è passare alle emozioni che sono la risonanza emotiva che determina la mia azione. Se do un pugno avrò una risonanza emotiva differente a quella che avrei se dessi una carezza, ma se non ci sono arrivato a livello emotivo non la percepisco tanto questa differenza. Il sentimento non è naturale è dato per cultura, non per natura, i sentimenti si imparano. Tutte le comunità primitive si sono ingegnate a raccontare i sentimenti. I greci avevano gli dei: Zeus il potere, Ares l’aggressività, Afrodite la sessualità, Apollo la bellezza. Noi abbiamo la letteratura che è il luogo dove si impara l’amore, la noia, la disperazione, il dolore... ma visto che la scuola non riesce ad affascinarli su base letteraria, questi ragazzi ai sentimenti non arrivano. Quindi stanno male e non sanno neanche dire per che cosa, perché non conoscono i nomi e tanto meno i percorsi sentimentali».

Professore questo è un universo senza sole...

«Sì, e questo lascia intendere che dobbiamo declinare, che l’Occidente è finito, che la nostra storia è al termine, non ho dubbi su questo. Poi pensiamo che i giovani hanno il massimo della forza biologica e la vendono, insieme alla bellezza, per intenderci calciatori e veline. Hanno il massimo della forza sessuale, ma non riproduttiva perché la sessualità compare a 13 anni, ma si possono riprodurre solo a 30. E nel frattempo? Maritain diceva che la nostra civiltà ha creato degli angeli che Dio non aveva previsto. E poi hanno il massimo anche della forza intellettuale che è dai 15 ai 30 anni: Einstein ha trovato la sua formula a 24 anni. Dopo puoi avere delle intuizioni, assestarle, ma il momento sorgivo è a quell’età. E allora una società che non usa il massimo della forza biologica, il massimo della forza sessuale e il massimo di quella ideativa, come fa ad avere ancora speranza? Io non ne ho».

In effetti in quella fascia di età sono completamente fuori dalla produzione, dalla politica, dalla società stessa...

«Certo e non hanno neanche speranza di “entrare” presto. Quando e se arrivano sono sfiduciati, demotivati perché un allenamento di quindici-venti anni di figure inessenziali non dà certo un rafforzamento di identità, anzi ti uccide. La speranza? Non sono un cristiano e non riesco a darla».
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