Dal Giffoni Festival a Teheran: «Io in Iran, dove non serve parlare inglese»

Dal Giffoni Festival a Teheran: «Io in Iran, dove non serve parlare inglese»
di Pasquale Noschese*
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Martedì 14 Ottobre 2014, 10:51
Domenica 28 Settembre, grazie ad un colloquio avuto con l’ufficio giurie del Giffoni film festival, (una sorta di selezione concessa a tutti i partecipanti al festival che hanno dato la disponibilità ad ospitare stranieri, esso permette ai giurati di partecipare ad altri festival nel mondo) ero nell’aeroporto di Napoli in attesa del mio volo per l’Iran. Lo so, può sembrare strano un viaggio in Medio Oriente, come è sembrato a molti dei miei amici. Ma riflettiamoci: cosa avrei scoperto di nuovo se avessi scelto, che so, la Francia? Una nuova cultura forse? No di certo. Mentre era proprio quella la mia intenzione: conoscere un nuovo modo di pensare. Arrivato alla capitale iraniana Tehran, ho notato subito una differenza lampante tra le nostre due culture: il modo di vivere delle donne. In Iran le donne sono obbligate ad indossare velo e abiti lunghi anche quando si fanno il bagno a mare, non possono stringere la mano ad un uomo, ne possono passare un pomeriggio con un amico maschio e quando si fidanzano hanno l’obbligo di far conoscere il fidanzato al padre. Arrivato in hotel, il migliore dell’Iran a detta dei siti, guardando dalla finestra ho visto la grandezza di Tehran, la capitale, 20 milioni di abitanti, una colata di cemento in mezzo al deserto. Purtroppo i miei impegni da giurato (guardare cartoni animati) mi ha impedito di visitare Tehran, città splendida ma trafficatissima e tanto inquinata da costringere chi ci vive ad indossare mascherine per l’ossigeno, ma mi ha permesso di conoscere gli altri 27 giurati da Armenia, Bosnia, Germania, Iran, Italia, Libano, Pakistan, Romania, Spagna, Taijikistan, Tunisia e Turchia. Ho inoltre notato che in tutti questi paesi, tranne che in Germania, tutti amano l’Italia; anzi, ho fatto anche una magra figura quando alcune iraniane mi hanno fatto l’elenco di attori, cantanti e personaggi storici italiani mentre io ero abbastanza ignorante in quanto a celebrità medio orientali. Dopo tre giorni a Tehran abbiamo votato, facendo vincitore un film Uruguayano, Anina, che personalmente ho apprezzato molto perché mette un argomento serio e interessante come le diverse modalità di apprendimento, dalla bacchetta alla punizione esemplare, in un film per ragazzi. Dopodiché siamo partiti per Isfahan, una città ricca di arte e monumenti, distante 45 minuti di volo dalla capitale. Sfortunatamente non ho potuto visitare tutta la città, per il terribile attentato che mi è stato fatto dal cibo locale, che, oltre ad essere antigienico, non è molto vario: pollo e riso, riso e pollo, o una specie di tortino pieno di vegetali alto tre dita che loro chiamano pizza. Tra le cose che ho visto ad Isfahan voglio ricordare solo due chiese cristiane sconsacrate e antichissime, ed una moschea dalla rara bellezza: entrando sono stato travolto da una tempesta di colori e di fantasie fatte da linee dolci e armoniose, che si intrecciavano per poi dividersi ed intrecciarsi ancora sul soffitto turchino. Il problema era la difficoltà nel comunicare: nessuno, ma veramente nessuno, sapeva una parola in inglese. I problemi erano anche riguardo la comunicazione col mondo esterno, dato che in Iran Facebook è illegale, anche se tutti ce l’hanno grazie ad una applicazione non proprio regolarissima. Ovviamente il festival che ho frequentato lì non può essere assolutamente paragonato al nostro Giffoni film festival, ma è una grande occasione per conoscere un nuovo mondo e anche per apprezzare di più il proprio paese.



* studente liceo classico De Sanctis - Salerno
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