I giornalisti, le tragedie
e il dovere di raccontare

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Venerdì 14 Febbraio 2014, 13:34 - Ultimo aggiornamento: 14:02
Egregio direttore,

mi riferisco al commento in calce all’articolo “Pugni, sputi e insulti al fotografo del Gazzettino”. Innanzitutto la massima solidariet al fotografo aggredito e condivisione del suo commento laddove definisce il fatto “grave ed inaccettabile”. Cos come deve essere espressa solidariet, comprensione e rispetto per il dolore provati dagli amici e parenti della povera ragazza suicidata si a Cittadella. Mi sono tuttavia chiesto: perch parenti e/o conoscenti di Nadia, cos si chiamava la ragazza, hanno reagito in tal modo alla presenza di giornalisti e fotografi? Probabilmente solo il dolore non basta a spiegare tutto ci. Mi allora venuta alla mente una canzone del povero Giorgio Gaber, scritta nel lontano 1980, nella quale (cito a memoria) si rivolge ai giornalisti dicendo "avete troppa sete e non sapete approfittare della libert che avete, quella di pensare, ma quello non lo fate e in cambio pretendete la libert di scrivere e di fotografare... vi buttate sui disastri umani con il gusto della lacrima in primo piano". Troppo spesso anch’io ho provato fastidio e repulsione all’insistenza di certi giornalisti nel porre domande (spesso alquanto stupide) a chi stato colpito da tragedie. Per cui, con la massima solidariet per i poveri fotografo e giornalista, ritengo doveroso un esame di coscienza da parte della categoria in questione sui perch si verificano certe reazioni violente che costituiranno sicuramente fatti “gravi e inaccettabili” ma che altrettanto sicuramente possono essere provocate anche dall’“etica” troppo disinvolta di un insano giornalismo. Non mi riferisco al caso narrato, per mi permetto di sottolineare che la violenza non costituita solo da “pugni, sputi e insulti” ma troppo spesso anche dalla troppa insistenza nella violazione dell’intimo che si trasforma in mancanza di rispetto per chi soffre.


Lettera firmata

Mogliano Veneto (Tv)



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Caro lettore, facile trovarsi d'accordo sui principi generali. E anche condividere le sferzanti strofe di Gaber. Ma le vicende e i fatti vanno analizzati uno per uno. Per ci che sono e per ci che rappresentano, rifuggendo da generalizzazioni e semplificazioni. Il commento pubblicato ieri non aveva alcuna intenzione di "assolvere" la categoria dei giornalisti. Che, n pi n meno di altri, sbagliano. N di giustificare l'accanimento spudorato e inutilmente sensazionalistico con cui tante volte, ha ragione lei, i media affrontano tragedie e disastri umani. Il commento voleva stigmatizzare un preciso comportamento, violento e ingiustificato. E sottolineo questo secondo aggettivo: ingiustificato. Perch non con una raffica di pugni e di insulti che si risolvono i problemi. Ma soprattutto perch, mi prendo la responsabilit di dire, il Gazzettino in questa vicenda non ha speculato n sulla tragedia di Nadia n sul dolore dei suoi parenti o amici. Abbiamo raccontato, cercato di capire e di far capire una scelta di autodistruzione che anche un dramma sociale e collettivo. Certo, umanamente comprensibile che chi da questa tragedia stato colpito da vicino potesse preferire il silenzio e abbia vissuto con profondo disagio e persino con rabbia l'attenzione di giornali e tv. Ma per aver quella che, nella canzone da lei citata, Gaber chiamava "la libert di pensare", bisogna anche conoscere: innanzitutto, conoscere la realt e i fatti. Che spesso sono duri da digerire e da accettare. E non sempre per colpa dei giornalisti.