L'intervento

3 Minuti di Lettura
Sabato 13 Febbraio 2016, 04:38
Sembrava che già fosse stato espresso ogni possibile commento sulla sentenza-Birolo, ed invece due giorni fa sono sopravvenute le opinioni fortemente critiche del Vescovo di Chioggia, che tra l'altro giunge a dire cose veramente sgradevoli: la sentenza completerebbe il furto che il ladro non era riuscito a realizzare. E già un altro uomo di Chiesa, con tanto di citazione di una frase di Papa Francesco, sottolinea che perde il proprio diritto alla vita il ladro che viene sorpreso in ambiente privato.
E' il momento di dare vita ad iniziative che possano almeno affievolire il conflitto tra il giudizio del giudice ed il sentire comune, come lo qualifica il Vescovo di Chioggia. Bisogna riconoscere che la legittima difesa attualmente è congegnata in modo confusionario: da un lato le tradizionali disposizioni del codice penale (art. 52), e dall'altro quelle innestate con il riordinamento del 2006, ispirate però ad altre esigenze, quelle proprie dell'esercizio di un diritto e dell'adempimento del dovere, e dell'uso legittimo delle armi (artt. 51 e 53).
Sono quindi necessarie appropriate sedi di studio, che attingano alla psicologia ed alla sociologia e che forniscano nuove valutazioni ai fini di una possibile riforma: concernente gli stati emotivi e passionali che nei brevi tempi di reazione (con l'arma da fuoco) animano e forse dominano la persona che subisce la grave offesa (nella legge e nel pensiero greco antichi compreso Platone lo stato d'ira escludeva persino la volontarietà dell'azione); concernenti inoltre i contorni e le reali motivazioni dell'eccesso doloso e dell'eccesso colposo di legittima difesa.
Lo studio deve essere aperto anche alla possibilità di introdurre nuove disposizioni incriminatrici ad hoc, che puniscano in maniera differenziata ed attenuata l'omicidio e le lesioni personali poste in essere nelle particolari condizioni di intensa aggressione al patrimonio ed alla persona. Si pensi, soltanto per la tecnica legislativa, alle disposizioni che in diversi contesti storici avevano configurato il c.d. delitto d'onore ed il duello a conclusione di una vertenza cavalleresca.
Di immediata attuazione sarebbe, invece, una modifica dell'ordinamento giudiziario, modesta ma senz'altro utile: attribuire alla Corte di Assise l'inderogabile competenza per ogni caso di omicidio, consumato o tentato che sia.
Attualmente l'azione che abbia raggiunto l'obiettivo dell'uccisione di una persona viene sottratta all'originaria competenza della Corte di Assiste su semplice richiesta dell'imputato che preferisca il giudizio senza istruttoria dibattimentale, il c.d. rito abbreviato. Il medesimo comportamento, che per ragioni puramente fortuite non sia invece andato oltre la fase dei preparativi e del tentativo, è in ogni caso di competenza del Tribunale.
La Corte di Assise, composta com'è di due magistrati e di ben sei giudici popolari tratti dalla cittadinanza, ha tutti i numeri per intercettare entro certi limiti sensibilità dissonanti rispetto al nudo dettato di legge. Inoltre, dal momento che i sei laici sono privi di specifiche conoscenze della giurisprudenza, la Corte di Assise è l'organo giudiziario in bene ed in male meno condizionato dalle precedenti interpretazioni della legge, e dunque il più aperto, quando per gli interventi del Pubblico Ministero e della Difesa venga sollecitata una valida dialettica, ad includere in nuovi e magari decisivi schemi di diritto taluni elementi del fatto e della vicenda, che altrimenti sarebbero trascurati.
Questa proposta di modifica del riparto di competenza tra il Tribunale e la Corte di Assise, con la previsione di un rito abbreviato che si svolgerebbe con tutti i vantaggi già attualmente previsti dinanzi alla Corte di Assise, non è nuova. Figurava in un'iniziativa di riforma del Governo Monti, con guardasigilli la Ministro Severino, ma poi per ragioni non note è finita nel cassetto.
Giuseppe Rosin

Padova