Roma, bimbo morto in metro: il panico, poi il tragico volo

Roma, bimbo morto in metro: il panico, poi il tragico volo
di Valentina Errante e Adelaide Pierucci
4 Minuti di Lettura
Sabato 11 Luglio 2015, 06:13 - Ultimo aggiornamento: 18:39

ROMA Francesca Giudice continuava ad aspettare e a chiedere quando avrebbero tirato fuori da quella scatola infuocata lei e il suo bambino. La luce rimaneva accesa ma il tempo sembrava infinito. Non ce la faceva più a stare rinchiusa in quel maledetto ascensore. Non si respirava. Dall'altra parte, la voce di quell'uomo la rassicurava, le dava consigli attraverso l'interfono. Ma le parole non bastavano più. Così, davanti all'ansia della mamma, che insisteva per una soluzione rapida, l'addetto Atac ha deciso di intervenire, perché i tecnici della Kone, responsabili della manutenzione dell'ascensore, non arrivavano. Erano già trascorsi quindici minuti. Lei e Marco rinchiusi. Stazione Furio Camillo, ore 17 di una giornata bollente di luglio. È stata la donna a raccontarlo ai carabinieri della compagnia di piazza Dante, distrutta dal dolore, per quell'unico figlio di 4 anni inghottito davanti ai suoi occhi dal buio della morte. Le procedure prevedevano altro: forse altri 15 minuti di attesa, probabilmente un epilogo meno drammatico. E invece quella voce ha lasciato il gabbiotto, non prima di annunciarle che sarebbe intervenuta. «Continuava a parlarmi mentre apriva le porte di emergenza, per cercare di tirarci fuori. Mi diceva di mettere l'acqua sulle manine di Marco. Poi Marco ha visto le porte aprirsi ed è scappato». Adesso il nome di quell'uomo, 33 anni, e quelli di due vigilanti, che hanno assistito l'addetto Atac nella manovra sciagurata, sono stati iscritti sul registro degli indagati per omicidio colposo.

La dinamica è già chiara.

Oggi sarà comunque eseguita l'autopsia sul corpo di Marco. Ma gli accertamenti della procura di Roma, coordinati dal procuratore aggiunto Pier Filippo Laviani, riguardano anche la manutenzione degli ascensori e il rispetto delle norme sulla sicurezza da parte di Atac e della ditta responsabile.

LA RICOSTRUZIONE Non erano ancora le 17 quando l'ascensore della fermata della metro Furio Camillo si blocca. Dentro la cabina ci sono soltanto Francesca e il suo bambino. La donna suona immediatamente l'allarme. L'addetto Atac le parla attraverso l'interfono. Cerca in tutti i modi di tranquillizzarla. Ha subito chiesto l'intervento degli operai della Koinè, responsabile della manutenzione. Ma la temperatura continua ad aumentare e dopo un un quarto d'ora dalla chiamata non si vede arrivare nessuno.

L'addetto Atac lascia il gabbiotto chiede ai due vigilantes in servizio di seguirlo, prende la chiave per aprire il pannello, di fatto una porta di emergenza che si trova a destra della cabina. Decide di intervenire dall'ascensore gemello, con la via di fuga a sinistra, che viaggia parallelamente a quello bloccato aprendo le due ”uscite” e facendo passare mamma e figlio da un ascensore all'altro. La donna, intanto, comincia a spazientirsi, provata dal caldo e dall'irrequietezza del piccolo Marco. I vigilanti rimangono fermi, davanti alle porte, per impedire ai passeggeri di chiamare l'ascensore utilizzato dall'addetto Atac durante la manovra.

Per la procura è un concorso nell'azione rivelatasi fatale. Intanto il dipendente Atac porta l'ascensore all'altezza di quello bloccato, con la chiave apre la porta di emergenza, poi esegue la stessa operazione nell'altra cabina. Non pensa allo spazio tra i due abitacoli, non utilizza una pedana. Intanto continua a parlare con la signora, la rassicurara, non ci vuole molto tempo. Una manovra sbagliata. Quando Marco vede la porta aprirsi scappa via, non si accorge che in mezzo ci sono 40 centimetri di vuoto, precipita giù per venti metri. «Mi è scivolato dalle mani» ha ripetuto sconvolta la mamma raccontando che il figlio, sceso dal passeggino, era davanti a lei, in attesa. I filati delle videocamere confermano.

LA TESTIMONIANZA Una deposizione straziante. C'è solo dolore nelle parole di Francesca Giudice. Nessun rancore nei confronti di quell'uomo. «So bene che ha agito in buona fede», dice la donna in lacrime e racconta come Marco le sia scappato via davanti agli occhi. «È stato un istante», dice. «Ma quell'uomo non ha responsabilità, ha voluto fare soltanto qualcosa di buono nei nostri confronti», continua a ripetere tra le lacrime». I genitori del bambino, straziati dal dolore, infatti non hanno presentato alcuna denuncia e non hanno manifestato volontà di rivalsa. Soltanto disperazione.