PUGLIA MON AMOUR/Katia Ricciarelli: «Burraco e orecchiette all’ombra del barocco»

PUGLIA MON AMOUR/Katia Ricciarelli: «Burraco e orecchiette all’ombra del barocco»
di Valeria BLANCO
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Sabato 19 Luglio 2014, 16:26 - Ultimo aggiornamento: 6 Ottobre, 15:17

LECCE - Quando pensa al Salento le viene il mal di cuore. Il soprano Katia Ricciarelli - dal 1998 al 2003 direttrice artistica della stagione lirica della Provincia di Lecce - di casa in citt. Sei anni sono tanti. Sufficienti per conoscere bene sia Lecce che l’entroterra, per apprezzarne la cucina e la bellezza dell’architettura, per stringere legami forti e creare piccole abitudini, come quella del burraco con le amiche nelle pause durante le prove. E la città la ricorda con affetto, sia sul palco (memorabile nei panni di Almirena in Rinaldo nel 2003) sia in città: al bar Avio entrava di fretta e ordinava un rustico da portare via. Spesso era seduta ai tavoli del ristorante Guido e figli, a due passi dal teatro, per un pranzo veloce prima di tornare al lavoro.

A più di dieci anni da quella esperienza che definisce «meravigliosa», Katia Ricciarelli non ha ancora dimenticato il calore del Salento. «Mentre si lavora - spiega - spesso non ci si rende conto di ciò che si sta facendo. A guardare indietro verso quegli anni, però, oggi mi rendo contro di aver fatto, insieme all’orchestra, cose irripetibili e straordinarie».

Come ha conosciuto la Puglia?

«Cantare mi ha permesso di conoscere prima Bari e i suoi teatri. Poi ho fatto un film con Pupi Avati a Torre Canne, ma è stato quando sono diventata il direttore artistico a Lecce che, per la prima volta, in Puglia mi sono sentita a casa. I ricordi sono legati più al lavoro che alla vacanza, ma in quei luoghi incredibili non è raro che le due dimensioni si confondano».

Ha vissuto Lecce sia d’estate che d’inverno: in quale stagione la preferisce?

«Lecce è bella e accogliente sempre e le persone sono straordinarie. Preferisco l’inverno perché è il periodo che ho vissuto di più e so che si lavora bene».

Ha un luogo del cuore?

«Il centro storico di Lecce, il suo barocco, la piazza del Duomo. Quello che c’è nella città vecchia è unico. I miei amici che arrivavano dall’estero per vedere gli spettacoli rimanevano letteralmente conquistati. E io, che ho girato il Salento in lungo e in largo, spiegavo loro che in ogni paesino c’è uno scorcio bellissimo di barocco: una sorpresa continua».

Che ricordo ha della direzione della stagione lirica?

«Mentre vivi e sei impegnato a lavorare non ti rendi bene conto: ora capisco che abbiamo fatto cose splendide di cui sono molto orgogliosa, cose incredibili per un teatro di tradizione. Con l’Orchestra abbiamo avuto le nostre discussioni, perché io ero giovane del mestiere, ma poi abbiamo creato un bel rapporto e lavorato con gioia. Ancora oggi, quando ci si vede, c’è grande sintonia e si ricordano con nostalgia gli anni passati».

Con il ridimensionamento delle Province, l’Orchestra rischia di scomparire.

«Seguo anche da lontano la grande battaglia che l’Orchestra sta portando avanti per rimanere in vita e mando agli orchestrali un messaggio d’affetto. Tagliare la cultura per la crisi pensando di risparmiare non è una mossa intelligente: la cultura è necessaria per qualunque paesino sperduto, non riesco a immaginare il Salento senza la sua orchestra».

A maggior ragione perché Lecce è candidata a diventare Capitale europea della Cultura.

«Purtroppo, mantenere in vita l’orchestra non dipende del tutto dalla città. Però Lecce deve fare uno sforzo in più per tenere in vita il teatro: il rischio è che agli occhi del mondo si passi come un Paese che non ama le sue realtà»

Com’è il pubblico salentino?

«Non ci sono sprovveduti, il pubblico chiede cose belle e non gli si può dare il contentino, Lecce è colta e va promossa. Ma merita la sua orchestra».

Qualche anno fa Pietro Milesi ha inventato la pizzica sinfonica. Cosa pensa della fusione tra opera e pizzica?

«Sono due cose diverse, ma non possiamo continuare ad avere la puzza sotto il naso. Sono andata a cantare le canzoni di Freddie Mercury in una specie di discoteca, non direi di no se mi invitassero alla Notte della Taranta. Su quel palco salirei con umiltà, ma con professionalità».

Un cibo pugliese di cui non riesce proprio a fare a meno.

«Orecchiette con cime di rape e tutta la verdura. Spesso ero ospite a casa di una carissima amica, Anna Vergari, e insieme ad altre amiche si faceva una partita a burraco. Quando ci veniva fame, in un attimo cucinavano cibo eccezionale. Alle salentine ho sempre invidiato un talento culinario fuori dal comune»

Qual è il più bel ricordo della sua permanenza in Puglia?

«Ricordo tante belle serate a Vieste, a Bari e a Rodi Garganico, ma ogni volta che penso al Salento mi viene il mal di cuore. Penso agli amici, all’orchestra, a quante volte abbiamo aspettato con ansia le prime e a quante volte abbiamo poi festeggiato con una cena in casa tra amici. Confesso, quando sono partita ho pianto».

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