E Rudiae risplende dopo duemila anni

E Rudiae risplende dopo duemila anni
di Angela Natale
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Venerdì 28 Agosto 2015, 13:37 - Ultimo aggiornamento: 13:57

Due parole descrivono l’atmosfera: serata magica. Le pronuncia l’attore Fabrizio Saccomanno. Le fa sue il cantautore Mino De Santis. A loro ieri il privilegio di alzare il sipario sui resti dell’antica città Rudiae, custodita tra gli ulivi in agro di San Pietro in Lama e sepolta per secoli dai resti della modernità.

L’anfiteatro romano portato alla luce dagli scavi voluti dal professor Francesco D’Andria si apre alla città, consegnando le prime immagini a colori e restituendo la visione reale, non solo profetica, del valore simbolico dell’intera area.

E non sono parole, o per dirla con il titolo dello spettacolo rappresentato dal duo Saccomanno-De Santis, “Trapule”, ovvero invenzioni, racconti surreali. È tutto vero, in questo caso. «Penso che sia veramente lo scalo archeologico più straordinario che questa terra conosca», dice Saccomanno mal celando l’emozione. «Il luogo è meraviglioso e credo che si sposi benissimo con i testi che faremo stasera.

Lo vedo per la prima volta, sono estasiato», gli fa eco De Santis.

E sarà la stessa cosa per le duecento persone e anche di più, a dispetto dei 150 posti a sedere, che non sono volute mancare all’appuntamento con la storia. La storia di una città che recupera e trasforma, cerca nel passato un ancoraggio al presente incerto dove tutto si brucia nell’attimo fuggente, sparisce alla vista dei radar di una modernità liquida.

Il parco archeologico Rudiae dell’antica città di Rudiae dà senso alla modernità. Non c’è da scandalizzarsi se il suo futuro, già bello e confezionato, lo vuole contenitore culturale, luogo dove la vita delle persone si incrocia con l’arte, declinate nelle sue più varie forme ed espressioni.

L’assessore al ramo, Luigi Coclite, è in prima fila a godersi gli spettacoli. Perché le performance in realtà sono due, perfettamente concatenate tra esse: le parole e la chitarra che raccontano un sud di cielo e terra, di uomini e donne memorabili loro malgrado, con ironia e disincanto, non senza uno sguardo sarcastico sulle miserie della nostra contemporaneità; e le parole della memoria che si cela sotto i grandi lastroni scavati nella pietra antica.

L’area dove l’anfiteatro è emerso dalle viscere della terra è transennata. Lavori accora in corso,il cantiere del primo lotto chiuderà a dicembre, secondo quanto promesso dall’assessore i Lavori pubblici Gaetano Messuti. E a dicembre sarà libera fruizione, benché ancora molto ci si da fare, specie per recuperare l’ovale, oggi ricoperto di terra rossa. Proprio qui, ieri è stato sistemato “palco” e parterre. Con il pubblico accolto da una luna piena e avvolto dal panorama di ulivi che cinge l’intero perimetro, dando il senso delle origini e del valore ambientale di un territorio che sulle sculture disegnata dalla natura ha segnato il suo passato e costruito il suo futuro, Xilella permettendo.

L’inaugurazione estemporanea di ieri, con lo spettacolo “Trapule” è solo il primo atto di una serie di eventi già preconfezionati. Il prossimo appuntamento sarà a metà settembre quando tra i resti della città messapica si esibirà Ippolito Chiarello, «uno dei più grandi attori salentini», dice l’assessore Coclite anticipando la notizia . Fino ad allora ci sarà tempo anche per portare la luce, specie sulla strada serrata che dall’Istituto agrario, utilizzato ieri per il parcheggio delle auto, conduce all’area degli scavi, essa sì illuminata con discrezione. Il resto, buio pesto.

Moti hanno taciuto sull’inconveniente, una signora ha polemizzato. Mentre l’assessore se l’è presa con i volontari della protezione civile – dieci in tutto – perché sprovvisti di torce.

Restano impegno e volontà. Anche per sconfiggere la pigrizia dei leccesi che pur sapendo della sua esistenza mai ha provato a conoscere la città di Quinto Ennio, toccarla con mano mano. Qualcuno lo ha fatto oggi. «Perché – dice Francesco Della Noce, studente di filosofia all’Università di Torino - questi scavi sono un piccolo atto di giustizia alla nostra storia».

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