Jobs act, scontro su licenziamenti collettivi. I sindacati: «Cancellati diritti»

Jobs act, scontro su licenziamenti collettivi. I sindacati: «Cancellati diritti»
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Venerdì 26 Dicembre 2014, 17:30 - Ultimo aggiornamento: 27 Dicembre, 17:32

Le nuove misure danno «il via libera alle imprese a licenziare in maniera discrezionale lavoratori singoli e gruppi di lavoratori».

Così la Cgil sul Jobs act. «Più che di rivoluzione copernicana, siamo ad una delega in bianco alle imprese a cui viene appaltata la crescita». E aggiunge: «Queste misure ledono diritti collettivi ed individuali». Anche la minoranza Pd attacca, mentre Ncd dopo le minacce («via l'articolo 18 o cade il governo») si accontenta: «Risultato insoddisfacente, ma il governo va avanti».

Il no della Cgil dunque resta, nonostante lo scampato pericolo dell'opting out che prevedeva la possibilità per il datore di lavoro di superare il reintegro con un super-indennizzo. Le regole investono infatti anche i licenziamenti collettivi, fatto che non piace inoltre alla sinistra del Pd, che con Cesare Damiano annuncia battaglia. Non commenta per ora Confindustria, che fa sapere che però si tratta di norme lungo attese dagli imprenditori.

Tornando alle norme, il primo decreto attuativo della delega sul lavoro introduce il nuovo contratto a tempo indeterminato e e modifica le tutele in caso di licenziamento illegittimo. Tutte novità che entreranno in vigore appena completato il passaggio parlamentare (con il parere delle commissioni) e pubblicato il testo in Gazzetta. Qualche modifica, quindi, è ancora possibile anche se il premier Renzi ha messo la faccia sul testo. Resta invece il reintegro sul posto di lavoro quando si è stati cacciati per vie discriminatorie o nulle per legge.

La riassunzione vale anche per i licenziamenti disciplinari dove il fatto «materiale», deve avere quindi concretezza, è dimostrato insussistente. In tutte le altre situazioni, quindi in quel che resta dei casi disciplinari e in quelli economici, tutto si risolve con un indennizzo, che va da un minimo di 4 mensilità a un massimo di 24, ridotte a 6 per le aziende sotto i 15 dipendenti. Che infatti danno la loro approvazione in modo deciso e con un sondaggio di Cna sottolineano che rende i contratti più stabili.

Rimane la possibilità di percorre la strada della conciliazione, accettando un assegno di massimo 18 mensilità esentasse. Un articolo del decreto è poi riservato ai licenziamenti collettivi, anche per questi scatta l'indennizzo se vengono violate le procedure che regolano lo strumento. Le modifiche non riguardano invece i dirigenti e quanti risultano già contrattualizzati. Ma c'è un'eccezione, quella di lavoratori che si ritrovino in aziende dove viene superato il limite dei 15 dipendenti: il neoassunto sarà a tutele crescenti e trascinerà con se nel nuovo regime anche gli altri, pur se veterani. Ciò ricordando che l'articolo 18 finora non è mai stato applicato alle piccole imprese.

La Cisl: testo migliorabile. «Il testo del Governo sul Jobs act è ancora migliorabile, in particolare per quanto riguarda le norme sui licenziamenti collettivi».

Così in una nota il segretario confederale della Cisl, Gigi Petteni, responsabile del mercato del lavoro. «Noi insisteremo anche che nei prossimi decreti si riducano le tipologie contrattuali che in questi anni hanno generato le maggiori precarietà del lavoro», spiega Petteni. Inoltre, aggiunge, «come Cisl non faremo mancare la nostra azione propositiva sulla riforma degli ammortizzatori e soprattutto sulle politiche attive del lavoro che sono la vera sfida del paese». È, invece, «certamente positiva l'estensione dell'Aspi ai collaboratori, portandola a 24 mesi, come aveva sostenuto la Cisl in queste settimane. Importante è non aver toccato il reintegro in caso di licenziamenti disciplinari e non aver inserito nel Jobs act le norme sullo scarso rendimento del lavoratore».

Il Nuovo centrodestra mastica male per la decisione del premier Matteo Renzi di lasciar fuori dai decreti delegati per il Jobs Act, approvati dal Consiglio dei ministri alla vigilia di Natale, alcune delle loro richieste, ma non se la sente di spezzare la corda. «Non si fa una crisi di governo - spiega all'Ansa il coordinatore nazionale del partito Gaetano Quagliariello - per un risultato insoddisfacente». Il governo, insiste, «deve andare avanti e noi continueremo le nostre battaglie in Parlamento».

L'ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che alla vigilia del Consiglio dei ministri aveva lanciato l'ultimatum, oggi usa toni decisamente più soft, della serie, «la montagna ha partorito il topolino» o «al governo è mancato il coraggio». Ma nessuno strappo. Prima di tutto, si spiega, perché non è il momento, e poi, perché, come sottolinea Renzi subito dopo il Consiglio dei ministri, a «un risultato come questo» non c'era mai arrivato nessuno. Nemmeno la destra. Anzi, dice il premier rivolgendosi a chi, come Sacconi, continua a criticare: «Dove eravate voi quando governavate?».

È vero, ribadisce Quagliariello, che un passo avanti è stato fatto, come dimostrano anche «le reazioni di netta ostilità da parte di Landini e della Cgil». Ma non basta. Ed è chiaro, si assicura, che Ncd continuerà a far sentire la sua voce quando si tratterà di dare il parere al decreto («pur sapendo che i numeri non consentiranno di rimettere mano al testo»), ma sul tavolo ci sono «tanti altri temi importanti», a cominciare dalla legge elettorale, che non mancherà certo l'occasione di «rifarsi».

Il «ni» del governo alle istanze degli alfaniani e il tweet «sprezzante» di Roberto Speranza che comunica il «No» alle richieste di Ncd con un ironico: «Buon Natale Sacconi!» offre il destro a FI per attaccare gli ex alleati con i quali il rapporto resta teso. Così, di «marginalità» di Ncd nel governo, parla l'azzurra Elvira Savino, mentre «Il Mattinale» lancia l'affondo: «Il braccio esile di Ncd è stato piegato in fretta dalla preponderante volontà nel Pd dell'anima arcipotente di Cgil». E anche i dem «punzecchiano» il nuovo centrodestra che prima «minaccia» e poi «ci ripensa». Il presidente della commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano, ad esempio, fa notare come il partito di Alfano-Quagliariello sia «arrivato a più miti consigli» e come abbia «imparato che di necessità si fa virtù».

Minoranza Pd all'attacco. «Le nuove regole riguardano anche i licenziamenti collettivi, questo è un punto che per noi deve essere modificato». Così il presidente della Commissione Lavoro alla Camera, Cesare Damiano (Pd). «Per quanto ci riguarda - spiega - la modifica dell'articolo 18 deve riguardare solo i licenziamenti individuali per i neoassunti». Un'altra correzione investirebbe il numero di mensilità d'indennizzo, per Damiano «si dovrebbe partire da sei nelle aziende sopra i 15 dipendenti» e non da quattro, come precede lo schema di decreto attuativo del Jobs act.

Fassina. «Purtroppo, i primi due decreti attuativi della delega Lavoro confermano l'obiettivo vero dell'intervento: ulteriore svalutazione del lavoro, data l'impossibilità di svalutare la moneta, per puntare illusoriamente a crescere via export. Insomma, un'altra tappa del mercantilismo liberista raccomandato dalla Troika». Lo scrive il deputato Pd Stefano Fassina sul blog dell'Huffington Post. «Non è una rivoluzione copernicana. È una rivoluzione conservatrice, un cambiamento regressivo», attacca.

Entrando nel merito del Jobs Act, l'esponente della minoranza Pd spiega: «Il provvedimento nasce all'insegna del contrasto alla precarietà. Ma è evidente che i precari sono tirati in campo strumentalmente per colpire chi nell'universo del lavoro non è ancora così arretrato e resiste alla riduzione delle retribuzioni e all'inasprimento delle condizioni di lavoro. Le decine di tipologie di contratti precari rimangono tutte, la sbandierata estensione degli ammortizzatori sociali alla platea degli esclusi non c'è. Non ci poteva essere, dato che la Legge di Stabilità non ha individuato risorse aggiuntive».

«Il vero "valore aggiunto" della legge delega e dei decreti sta nella attribuzione di completa libertà di licenziamento alle imprese. Anche quando un giudice rilevasse l'insussistenza di ragioni economiche per il licenziamento, si perde il diritto al reintegro e si ricevono due mensilità per anno di occupazione. La celebrata "concessione" sul reintegro per i licenziamenti disciplinari si rivela un guscio vuoto», sottolinea Fassina, che spiega: «Nessuna impresa rischia la strada del disciplinare quando l'economico è senza rischio di reintegro».

«Il governo Renzi sul lavoro segue l'agenda della Troika, dei conservatori e dei liberisti europei: si indebolisce ancor di più la capacità negoziale e, conseguentemente, la retribuzione del lavoro subordinato. È una strada iniqua e recessiva che, nel quadro di una Legge di Stabilità restrittiva, consolida uno scenario di stagnazione, disoccupazione e debito pubblico insostenibile», attacca Fassina, che conclude: «Proposito per il nuovo anno: intensifichiamo l'impegno, anche attraverso la partecipazione diretta dei cittadini, per correggere la rotta, per una politica economica di sviluppo, rivalutazione del lavoro e della dignità della persona che lavora».