Grecia, quanti rischi dietro lo stop di Bruxelles

di Oscar Giannino
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Sabato 27 Giugno 2015, 23:33 - Ultimo aggiornamento: 28 Giugno, 00:03
Purtroppo era da temerlo. Dopo quasi sei mesi di folle braccio di ferro tra Grecia ed Eurogruppo, la trattativa è del tutto sfuggita di mano. E oggi si rischia - tutti, non solo la Grecia - di finire contro un muro.

Tre settimane fa, era la Germania a ventilare l’ipotesi che Alexis Tsipras chiedesse ai greci il giudizio diretto, attraverso un referendum, sul se accettare o meno un accordo per restare nell’euro. Nella tarda serata di venerdì 26, di fronte al fatto che le richieste dell’Eurogruppo, Fondo monetario e Bce a fronte della proposta greca - per il 93% fatta di aumenti fiscali e contributivi - risultavano indigeste a Syriza, o meglio a rischio di non essere accettate in parlamento dall’ala sinistra del partito, è stato Tsipras a sorprendere tutti, convocando per domenica 5 luglio un referendum sull’accordo.

A quel punto si è aperto un bivio, per l’Eurozona. O puntare sul fatto che i greci, che all’80% nei sondaggi si dichiarano a favore della permanenza nell’euro, portassero nel referendum un voto coerente, tacitando in tal modo l’ala più oltranzista di Syriza e spingendo così Tsipras a firmare.

Oppure scommettere sul terrore, visto che intanto i greci hanno ulteriormente accelerato il ritiro di gran parte dei loro risparmi dalle banche. Puntare sul terrore significa sbattere la porta in faccia a Tsipras e dichiarare che, a questo punto, automaticamente dalla mezzanotte del 30 giugno verranno sospesi tutti gli aiuti alla Grecia.

L’Eurogruppo ha deciso di omboccare questa seconda strada, all’unanimità. Penso e scrivo da tempo che le responsabilità greche siano evidenti e gravi, visto che il paese per anni ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità, comprovato dal fatto che in tredici anni su trenta addirittura la spesa pubblica nell’anno superava di 10 punti di Pil il totale delle entrate pubbliche. Credere di continuare a poter vivere al di sopra delle proprie possibilità non è lotta alle banche o al capitalismo, è solo una sfida alla legge di gravità: facilmente si finisce col sedere per terra. A loro parziale discolpa, va detto che i greci non sono stati certamente aiutati dall’eccesso di rigore imposto dai falchi del Nord, per i quali l’austerity sembrava la sola medicina buona per uscire dalla crisi. Invece, come si è visto, le condizioni per un recupero della crescita richiedono anche altro.



L’ERRORE

Ma ribadito questo, è un gravissimo errore che tutti gli altri governi dell’Euroarea reagiscano come bimbi indispettiti al ricorso, in Grecia, della diretta sovranità popolare per via referendaria. Decidere di sospendere gli aiuti assume così la forma di un vero e proprio diktat. Significa far scatenare in Grecia, nei giorni precedenti alla consultazione popolare, il caos della chiusura bancaria obbligata, se alla sospensione del programma Europa-Fmi si aggiungesse quella della linea straordinaria di liquidità Ela, fin qui garantita alle banche greche da parte della Bce, mantenuta e anzi alzata (ogni due giorni, negli ultimi 10) da Francoforte al costo di sempre più pesanti obiezioni interne da parte della Bundesbank e di altre banche centrali dell’eurosistema. E significa obbligare le autorità greche all’immediata adozione di misure draconiane sulla libertà dei capitali contro la loro uscita dal paese, contro il ritiro dei depositi bancari, contro l’utilizzo dell’e-banking anche per il semplice spostamento di asset.



LE CONSEGUENZE

Politicamente, è un enorme favore fatto a chi punta a una rottura dell’euro in nome del ritorno all’autarchia monetaria e al nazionalismo come ideologia, al protezionismo doganale e alla ricerca di nuove alleanze economiche, diplomatiche e militari rispetto a quelle occidentali Europa-Nato, visto che Russia e Cina sarebbero sveltissime ad approfittarne mentre sul Mediterraneo è sempre più cupo il disegno perpetrato dall’Isis.

Ieri il presidente della Csu tedesca, Horst Seehofer, ha dichiarato: «Il governo greco in queste settimane ci ha offerto uno spettacolo da circo. Dobbiamo finire col circo il più presto possibile». Se e quanto più i politici dell’Euroarea useranno in questi giorni espressioni simili, tanto più il confronto politico diventerà automaticamente intossicato da nazionalismi sempre più accesi. E’ straordinario come politici abituati all’uso delle parole, stiano perdendo il senso della misura. E’ vero, Tsipras e Varoufakis hanno tirato la corda all’inverosimile. Ma è altrettanto vero che anche la controproposta Europa-Fmi non rende la Grecia solvibile nel 2016. Com’è vero che il Fondo monetario guidato da Christine Lagarde – che in questi ultimi due mesi ha riconosciuto pubblicamente che i greci hanno ragione nel chiedere un’ulteriore ristrutturazione del loro debito – ritenga però che la riduzione debba riguardare solo il debito che fa capo all’Euroarea, ma non quello del Fondo stesso.



LE INCONGRUENZE

La lista dei torti e delle incongruenze è lunga e non è solo greca, e non solo in questi sei mesi. Perché i greci, in realtà, hanno sempre continuato a dire ciò sulla cui base Syriza ha vinto le elezioni, e cioè che nelle condizioni in cui si trova il Paese doveva essere consentito un ulteriore default parziale come quello accordato nel 2012 – che tagliò del 60% il debito detenuto da privati – ma restando nell’euro.

Non è troppo tardi, per evitare che la spirale ora animatasi continui a bruciare ogni residuo di fiducia reciproca. Basta non obbligare la Bce a sospendere la linea di emergenza alle banche greche, almeno sino a quando i cittadini di quel Paese si saranno espressi nelle urne. Dando intal modo un’altra prova che siamo oggettivamente interessati a evitare che la Grecia si avviti in un’ulteriore recessione.

Non si tratta solo della Grecia, ma del significato stesso dell’euro. Se i greci scegliessero di abbandonarlo – perché è su questo ormai il referendum – non è vero né che tutto resterebbe come prima né che non saremmo esposti a danni peggiori di quelli che avremmo subito rinunciando a una parte di ciò che i greci ci devono, ma instaurando in quel caso una trattativa molto più seria dello scontro di lotta libera al quale abbiamo assistito.



LA REAZIONE

E’ il momento per il governo italiano di uscire dal totale e silente allineamento sin qui seguito. Credere che non si parli anche dell’Italia, nelle scelte che faranno i greci, credere che non deriverà un ulteriore impulso a Podemos in Spagna, a Grillo e Salvini da noi, significa credere alle favole. Sarà dura replicare ai no euro che l’euro vale comunque la pena, se non riesce a trovare soluzioni cooperative neanche per il 2% dell’Euroarea.