Una sfiducia sulle riforme di Pechino

di Giulio Sapelli
4 Minuti di Lettura
Lunedì 24 Agosto 2015, 23:10 - Ultimo aggiornamento: 25 Agosto, 12:47
Che succede in Cina? Le ipotesi sono diverse e possono essere divise fondamentalmente in due schieramenti. C’è chi sostiene che tutto scaturisce dalla finanza cinese cresciuta a dismisura per l’offerta eccessiva di moneta e per l’ondata di speculazione finanziaria che ha coinvolto tutte le classi sociali. Da questo punto di vista il crollo borsistico è un durissimo colpo non solo per le classi medie ma anche per i lavoratori più umili. Alla radice della crisi finanziaria vi è tuttavia un mostro faustiano celato nella caverna che ora emerge in piena luce, ossia le banche ombra, le cosiddette shadow bank, che sono proliferate con straordinarie operazioni di rimodulazione e copertura di strumenti finanziari più tossici di quelli occidentali.



L’apertura al mercato mondiale perpetrata dagli Usa e dalle banche d’affari internazionali nel 2001 ha devastato il sistema bancario cinese spaccandolo in due come una mela. Una parte è formata dalle banche di Stato che forniscono a debito il carburante ad aziende di stato inefficienti ma a liquidità illimitata.



E che consentono però alla finanza cinese di infilare i suoi tentacoli in tutto il mondo. L’altra metà sono appunto le banche ombra che finanziano le piccole e medie imprese private ma le tengono per la gola puntando il coltello sulla carotide se non firmano anche pericolosissimi acquisti di spazzatura finanziaria. Una pratica che hanno appreso dalle banche occidentali. Questa follia bicefala finanziaria si dice sia esplosa con un meccanismo simile a quello della crisi occidentale del 2007-2008. Ma è una interpretazione superficiale: le radici di tale crisi non sono nella finanza ma nell’economia reale. Crisi che s’interseca con quella finanziaria.



Ecco la seconda ipotesi. Non si è trattato di una moltiplicazione della speculazione ma del crollo del ruolo attribuito alla finanza da un gruppo dirigente politico che vedeva in essa una possibile fuoriuscita dall’economia reale come di fatto è accaduto in Occidente con il quantitative easing.



Senonché qui le dimensioni sono immense e quindi immenso è il fallimento strutturale e non finanziario. Xi Jinping voleva e vuole mutare modello economico. Da un modello fondato sull’esportazione a un modello fondato su un mix di esportazioni e di creazione del mercato interno per porre l’Impero di Mezzo al sicuro dalle fluttuazioni del commercio mondiale. La creazione del mercato interno va incontro tuttavia a ripetuti fallimenti. La condizione per crearlo - quel mercato - è staccare i contadini dalle campagne e gettarli nelle città dove non vi è spazio per l’autoconsumo e l’autoproduzione non solo del cibo. Ma questo tentativo fallisce: ci sono decine di città programmate e costruite che sono vuote: i contadini non abbandonano le campagne in misura sufficiente per introdurvi il mercato. Eppure il regime ha usato ogni mezzo. Vidi con i miei occhi già quindici anni or sono i militari strappare dalle colline le pietre dei cimiteri buddhisti e sincretici per umiliare i contadini e diffondere tra di loro la paura. E deportarli nelle città. Ma erano tentavi inutili o troppo costosi.



L’errore dei gruppi dirigenti cinesi tanto magnificati dai conservatori e dai tecnocrati nostrani è il cullarsi nell’illusione che i cambiamenti sociali si diffondano per via repressiva (Xi Jinping ha incarcerato e processato già più di mezzo milione di quadri del partito e dello stato ma il suo potere personale è sempre più in forse). Similmente si è fatto con le Borse arrestando chi gioca allo scoperto con risultati comici se non fossero drammatici.



Insomma la crisi è di natura strutturale ed è tipica di una ersatz (surrogato) dell’economia capitalista simile a quella del nazismo: una sorta di capitalismo monopolista di stato a dominazione militare e non politica come dimostrano le recenti vicende internazionali dove emerge chiaramente come l’esercito sempre più prevalga sul partito.



I rischi per tutto il mondo sono enormi e per questo sono compassionevoli e allarmanti insieme le idee di coloro (Fmi compreso) che si cullano nell’ipotesi che l’abbassamento del valore dello yuan abbia di mira l’entrata nel mercato sia della moneta sia dell’economia cinese tutta. Ma non si è mai visto entrare nei mercati arrestando chi gioca e specula in Borsa oppure chi manovra dall’alto la quantità di moneta per fini di potenza.



La prima conseguenza della situazione cinese è la moltiplicazione delle tendenze già in atto verso una deflazione mondiale tipica dell’avvento di una terribile stagnazione planetaria. Non c’è tempo per le illusioni. Occorre invertire il passo e capire che l’unica salvezza è fare ciò che la Cina a fare non riesce. Ossia abbandonare la via della crescita fondata solo sulle esportazioni e i bassi salari. Essa è fallita. Solo i mercati interni e la difesa e la creazione di capitale umano ossia di persone ben preparate e ben pagate e che lavorano sicure tutta la vita, solo una nuova economia di piena occupazione può garantire lo sviluppo e la crescita. Altrimenti faremo tutti la fine della Cina.