Alla Triennale di Milano una mostra sui calendari di Antonio Romano

Alla Triennale di Milano una mostra sui calendari di Antonio Romano
di Marinilde GIANNANDREA
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Lunedì 30 Novembre 2015, 08:22
Venticinque anni di un calendario di successo. Alla Triennale di Milano è in corso “Calendarea XXV a Milano – The Silver Anniversary”, la mostra dedicata al calendario di “Inarea”, la società fondata da Antonio Romano. “Renaissance” è il tema guida del 2016 e la mostra non è solo un tributo a un’azienda leader del design italiano e internazionale, ma anche un auspicio per chi sa immaginare lo spazio di una rinascita che comincia dall’arte ma anche dalla semplicità del quotidiano. In occasione della mostra è stato pubblicato “Calendarea, venticinque anni sul muro” (Marsilio Editori).

È un compleanno importante che segna un punto fermo per una storia di successo.
«Ho iniziato questo lavoro 35 anni fa, da solo in una piccola stanza a Roma, non conoscevo nessuno ma dopo alcuni anni con me lavoravano 30 persone. Nel 1988 ho aperto una sede a Milano, siamo diventati Area (Antonio Romano e Associati), abbiamo resistito al corteggiamento di una multinazionale e nei primi anni duemila ho nuovamente rielaborato l’idea del nome. Su suggerimento di un partner francese ad “Area”, che è un termine usato in tutte le lingue, abbiamo aggiunto “In”, una preposizione internazionale. È stato un processo legato alle esperienze, perché come dice Oscar Wilde “l’esperienza è il nome che diamo ai nostri errori”».

Nel suo lavoro si coglie sempre un approccio pluridisciplinare.
«Un critico ha definito i miei lavori "opere con un criterio compositivo" e questo è un approccio architettonico, del resto da studente pensavo di fare l’architetto o il designer, ma la vita decide altro».

E il calendario? Ha la giocosità delle opere di Bruno Munari e continua ad essere un oggetto molto desiderato.
«Munari è il nostro nume tutelare ma, se ci pensa, un calendario cartaceo oggi è un anacronismo. Nonostante ciò, quello di Inarea continua ad essere un dono e un oggetto di successo e dalle 1.500 copie del 1991 siamo passati alle 16.000 attuali. Si basa su un tema coerente declinato per dodici mesi attraverso calembours e giochi visivi. Le immagini sono scelte da bambini di età prescolare perché hanno un’intelligenza più vivace e piace agli adulti, perché incentiva il bambino che è in ciascuno di noi».

Cosa è cambiato negli ultimi decenni nel settore della comunicazione?
«Dagli anni Ottanta ad oggi c’è un’era geologica. Comunicare significa rappresentare se stessi e in passato la dimensione tempo, intesa come velocità e dinamismo, ha avuto la meglio sullo spazio. Ora lo spazio si sta vendicando e le nuove città hanno teatri, i social network, che sono luoghi globali dove tutti si autorappresentano. Il nuovo mondo si basa sulla “condivisione”, un dialogo moltiplicato all’infinito, e diventa dunque necessaria la capacità di generare relazioni. Prima l’identità di un marchio normava un sistema, la comunicazione era una derivata industriale e aveva uno standard e un target che la definiva. Il XXI secolo rovescia questi termini perché non sono sufficienti, gli elementi di comunicazione implicita si sono moltiplicati e il meccanismo è molto più frammentato. Il lavoro è diventato quello di presidiare tutti gli elementi di un palinsesto complesso e fluido, composto da fattori che interagiscono e convivono, eterogenei nelle forme, che devono però convergere verso la medesima filosofia. È evidente l’impossibilità di resistere al cambiamento, del resto “Il pessimista si lamenta del vento, l’ottimista aspetta che cambi, il realista aggiusta le vele”».

E sul piano dei linguaggi?
«Nella prima stagione il digitale copiava dal cartaceo, da un paio d’anni nel mio studio lavorano designer che elaborano caratteri tipografici per “l’era di vetro”, la matrice sta cambiando e le modalità di fruizione della Rete stanno avendo la meglio sui vecchi linguaggi».

Per una realtà come “Inarea” questo determina anche nuovi assetti organizzativi.
«La prima parte del Novecento è stata guidata dalle Avanguardie, oggi non è possibile fare una tassonomia dell’arte contemporanea. Pensi che solo per il logo del MAXXI di Roma abbiamo progettato cinquanta variabili. Restano per noi fondamentali le lezioni americane di Italo Calvino, ma tra tutte, la molteplicità è quella che domina la nostra epoca. Nel mio studio la quota dei designer comincia ad essere minoritaria e questo mi dispiace, i filosofi si stanno vendicando ma sono capaci di portare punti di vista impensati. E poi ci sono i giovani, non si preoccupano di indagare le transizioni dei fenomeni ma vogliono immediatamente le risposte e oggi il problema diventa saperle cercare».

Uno dei principi che guida la sua azienda è quello della sostenibilità non solo ambientale ma anche relazionale.
«Chi fa il mio mestiere è come un araldo, un araldo del XXI secolo. Un araldo non può lavorare se non ha il rispetto del proprio principe. Questo dà senso alla qualità delle relazioni umane, sono il fondamento del nostro lavoro, la materia su cui si può costruire un’idea di futuro».

La mostra prosegue fino 13 dicembre; orari: dal martedì alla domenica, 10.30-20.30 (lunedì chiuso). Per conoscere l’intera collezione di tutti i calendari “Inarea” dal 1991 ad oggi si può scaricare l’app “Imaginarea”.